L'arte e la morte
Girato nel 1994 sotto lo pseudonimo di Wu Ming (Anonimo) a causa della censura che lo aveva posto nella black list per il suo primo lavoro, Frozen ha visto la luce , lontano dalla Cina, solo nel 1997 , grazie al meritorio apporto dato da una casa di distribuzione olandese che lo presentò al Festival di Rotterdam.
Wang Xiaoshuai è probabilmente uno tra i registi verso cui la censura cinese ha calato la scure con maggiore virulenza, a partire dai suoi primi lavori e Frozen non poteva certo sfuggire alla regola , pur non presentando chiare e dirette denunce del sistema politico cinese; è semmai il trattare argomenti considerati scabrosi dalle autorità che ha impedito a questo lavoro di vedere la luce in patria.
Ispirato ad un fatto vero accaduto nel 1994, il film racconta una storia ambientata nel sottobosco underground artistico di Pechino, dove la ricerca dei confini dell'arte spazia dalla rappresentazione di disgustosi pasti a base di saponette alla messa in scena della morte.
Qi Lei è un giovane artista che si muove nell'arte figurata tra dipinti e rappresentazioni , ossessionato dalla morte come specchio della vita, che vorrebbe mettere in scena il suo suicidio come atto estremo di ribellione e di liberazione e al contempo come affermazione suprema dell'individualità artistica.
Ma , come gli predice un saggio al modico prezzo di 20 yuan, "alla morte segue sempre la vita" secondo la classica e circolare concezione buddhista e la grande illusione che mette in scena lo porterà diretto verso la morte vera, dopo aver toccato con mano come la morte non è simulabile in alcun modo e che vivere la morte è forse peggio che vivere la vita.
Già agli esordi Wang mostra un interesse spasmodico per l'arte figurata, per lui di importanza fondamentale nella sua formazione culturale, soprattutto come veicolo dell'affermazione individuale (concetto che alla censura fa venire i brividi); ma in questo lavoro, molto grezzo anche se già ispirato da una concezione visiva ben strutturata, le riflessioni vagano anche verso la morte e la vita, il suicidio come atto di affermazione individuale, la famiglia e i legami affettivi, l'emarginazione, il cinismo di chi vorrebbe speculare sull'arte, l'impossibilità di capire in concetto estremo della raffigurazione della propria morte.
Wang dilata i tempi e i ritmi fino all'estremo, probabilmente andando anche oltre, ma lo stile che lo porterà ad affermarsi in tutto il mondo, con una precisa ricerca dell'immagine e della inquadratura è già ben presente e dona alla pellicola quel marchio inconfondibile che accompagnerà sempre i suoi lavori seguenti.
Se un difetto va cercato nel film, ed è abbastanza visibile, è un certo intellettualismo estremo di cui per un certo periodo il cinema cinese d'autore si è ammantato, generando luoghi comuni dozzinali a non finire.
Nel complesso il film ha il suo valore, soprattutto se visto alla luce della filmografia complessiva del regista e getta le basi su quella concezione dell'arte e dell'individuo che fanno parte indissolubile del credo cinematografico di Wang Xiaoshuai.
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