Giudizio: 8/10
Jung è gobbo, malato di tubercolosi e tormentato da una grave forma di artrite, lavora in una morgue dove ricompone cadaveri, li ripulisce, li trucca e li prepara per la bara; svolge il suo lavoro con meticolosità e passione e vive tutta la sua vita all'interno della camera mortuaria.
L'inizio del film dove vediamo scorrere immagini solari di spiagge e di città in festa è un lavoro di sottrazione: " Questo non è il mondo in cui lui vive" recita la didascalia al termine della breve introduzione; ben presto ce ne rendiamo conto; la vita nella morgue scorre tra realtà e fantasie malate su un piano in cui è difficile capire dove finisce l'una e comincia l'altra.
I morti hanno la loro breve storia, i visitatori sembrano uscire a loro volta da un incubo o dal più strambo dei sogni, la sala settoria diventa una sala da ballo in cui i corpi nudi dei cadaveri si animano nella danza.
Unico legame di Jung è la sorellastra, ex fratellastro, ora transgender a tutti gli effetti che aspetta solo di recidere quello che ha tra le gambe per liberarsi definitivamente dal corpo maschile che odia : solo per lei sembra provare qualcosa che sia simile ad un sentimento d'amore, dopo che la sua esistenza è stata solo orfanotrofio e sfruttamento, nascosto al mondo per il suo aspetto.
The Weight è un film corporale: corpi senza vita, corpi insanguinati, corpi deformi , corpi in trasformazione e corpi rifiutati si alternano davanti ai nostri occhi: corpi che spesso albergano una miseria dalla quale solo la morte può mettere rimedio, come ripete più volte la sorellastra del protagonista.
Ma The Weight è anche un film cattivo duro che richiama , soprattutto nelle tematiche , certe storie del primo Kim Ki-duk: spazio per necrofilia, incesto, violenza, perfidia a costruire un mondo i cui unici sprazzi di colore sono le macchie di sangue sulla camicia bianca da lavoro del protagonista.
Nel costruire la storia Jeon Kyu-hwan , regista che anche in passato si è fatto notare per essersi posizionato molto ai margini della cinematografia coreana più classica e commerciale, si affida proprio ad una ambientazione buia, sporca, pullulante di freaks, di emarginati in cui anche gli esterni girati fuori dalla morgue offrono uno sguardo buio e squallido, come le vite di tutti i personaggi che compaiono in questa tragedia del rifiuto e dell'emarginazione cui fa da contrappunto frequente la musica di Bach, Mendelssohn e Schubert; unici punti oscuri del film un paio di metafore poco chiare e incoerenti col resto del racconto, che nel complesso però non minano il valore dell'opera.
The Weight afferma prepotentemente la sua oscurità, il suo racconto di dolore e di abisso personale nel quale vivono i protagonisti e proprio nel finale, sebbene troppo spiegato, riesce paradossalmente a lasciare intravedere un raggio di luce dopo cento minuti di buio pesto.
Le eccellenti prove di di Jo Jae-hyun e Park Ji-a ( quest'ultima non a caso attrice prediletta del primo Kim) innalzano di un ulteriore gradino la qualità di un film che possiede la piuttosto rara capacità di sapere lasciare il segno.
L'ho visto di recente da un DVD pescato in biblioteca: da vedere
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