lunedì 5 maggio 2014

The Weight ( Jeon Kyu-hwan , 2012 )

Giudizio: 8/10

Jung è gobbo, malato di tubercolosi e tormentato da una grave forma di artrite, lavora in una morgue dove ricompone cadaveri, li ripulisce, li trucca e li prepara per la bara; svolge il suo lavoro con meticolosità e passione e vive tutta la sua vita all'interno della camera mortuaria.
L'inizio del film dove vediamo scorrere immagini solari di spiagge e di città in festa è un lavoro di sottrazione: " Questo non è il mondo in cui lui vive" recita la didascalia al termine della breve introduzione; ben presto ce ne rendiamo conto; la vita nella morgue scorre tra realtà e fantasie malate su un piano in cui è difficile capire dove finisce l'una e comincia l'altra. 
I morti hanno la loro breve storia, i visitatori sembrano uscire a loro volta da un incubo o dal più strambo dei sogni, la sala settoria diventa una sala da ballo in cui i corpi nudi dei cadaveri si animano nella danza.
Unico legame di Jung è la sorellastra, ex fratellastro, ora transgender a tutti gli effetti che aspetta solo di recidere quello che ha tra le gambe per liberarsi definitivamente dal corpo maschile che odia : solo per lei sembra provare qualcosa che sia simile ad un sentimento d'amore, dopo che la sua esistenza è stata solo orfanotrofio e sfruttamento, nascosto al mondo per il suo aspetto.

The Weight è un film corporale: corpi senza vita, corpi insanguinati, corpi deformi , corpi in trasformazione e corpi rifiutati si alternano davanti ai nostri occhi: corpi che spesso albergano una miseria dalla quale solo la morte può mettere rimedio, come ripete più volte la sorellastra del protagonista.
Ma The Weight è anche un film cattivo duro che richiama , soprattutto nelle tematiche , certe storie del primo Kim Ki-duk: spazio per necrofilia, incesto, violenza, perfidia a costruire un mondo i cui unici sprazzi di colore sono le macchie di sangue sulla camicia bianca da lavoro del protagonista.
Nel costruire la storia Jeon Kyu-hwan , regista che anche in passato si è fatto notare per essersi posizionato molto ai margini della cinematografia coreana più classica e commerciale, si affida proprio ad una ambientazione buia, sporca, pullulante di freaks, di emarginati in cui anche gli esterni girati fuori dalla morgue offrono uno sguardo buio e squallido, come le vite di tutti i personaggi che compaiono in questa tragedia  del rifiuto e dell'emarginazione cui fa da contrappunto frequente la musica di Bach, Mendelssohn e Schubert; unici punti oscuri del film un paio di metafore poco chiare e incoerenti col resto del racconto, che nel complesso però non minano il valore dell'opera.
The Weight afferma prepotentemente la sua oscurità, il suo racconto di dolore e di abisso personale nel quale vivono i protagonisti e proprio nel finale, sebbene troppo spiegato, riesce paradossalmente a lasciare intravedere un raggio di luce dopo cento minuti di buio pesto.
Le eccellenti prove di di Jo Jae-hyun e Park Ji-a ( quest'ultima non a caso attrice prediletta del primo Kim) innalzano di un ulteriore gradino la qualità di un film che possiede la piuttosto rara capacità di sapere lasciare il segno.


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