Giudizio: 3/10
Poteva mancare nel controverso programma del Festival del Cinema di Roma di quest'anno uno tra i più grandi clichè cinematografici degli ultimi anni incentrati su: ricca europea-sole e mare dei Caraibi- marchettari impenintenti ed imbroglioni succhiasoldi ? Naturalmente no, anche se la variabile lesbo vorrebbe introdurre quel sale in più in un piatto insipido in partenza e che mai riesce a diventare appetibile.
La ricca europea è una francese cui regala il volto una Geraldine Chaplin poco credibile nel ruolo, che da tre anni vive nella Repubblica Dominicana crogiolandosi al sole, bagnandosi nei mari limpidi, amoreggiando con la sua pollastrella del luogo che da parte sua è una morta di fame (ovvio, siamo ai Caraibi...) , ladra,opportunista e imbrogliona che spaccia per fratello un ragazzino che è invece il suo amichetto oltre che compagno di imbrogli.
La vecchia europea , convinta di avere in mano quel diamante grezzo, cerca di convincere la ragazza a tornare a Parigi con lei, abbindolandola con promesse di vita agiata e tranquilla; la ragazzetta dal canto suo lesbica non è anzi, fare marchette è una necessità (altrimenti come si campa) e col compare cerca di spellare la vecchia , fino all'ultimo e decisivo imbroglio piuttosto odioso, quando di mezzo c’è ovviamente, un bambino in arrivo (mirabile tassello finale del grande clichè).
Diretto dall'accoppiata Israel Cardenas-Laura Amelia Guzman Dolares de arena possiede solo un grande pregio, quello di durare ottanta minuti, sufficienti comunque a mostrare una povertà da tutti i punti di vista: soggetto abusatissimo ( e anche stancante ormai...), sceneggiatura piena di buchi, ricorso a manfrine varie (tramonti, notti stellate, luci soffuse, mari azzurri, noiosissime musiche latino-americane che invece faranno la felicità dei molti aspiranti ballerini da sagre paesane) per riempire con un naturalismo didascalico e manieristico una aridità narrativa quasi totale.
Anche la scelta dell'amore lesbo per di più tra persone fra cui intercorrono almeno due generazioni, lungi dal solleticare se non altro i bassi istinti voyeuristici, si rivela una scelta quasi snob in un contesto fatto di ovvietà e di luoghi comuni, oppure qualcuno pensa che solo i maschi arrapati vanno ai Caraibi a trovare paradisi sentimental-sessuali prezzolati?
A tale proposito chi ha avuto la sventura di assistere a questo film e non avesse ancora visto Paradise: Love di Ulrich Seidl, perda una paio d'ore a vedere come possa apparire facile per un grande regista raccontare le stesse tematiche con ben altro risultato.
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