Giudizio: 8/10
Quando l'anno scorso nel commentare il suo ultimo lavoro presentato alla Mostra Cinematografica di Venezia Tsai Ming Liang sembrò, con una certa dose di cripticità, dichiarare il suo arrivo al capolinea artistico, suscitò subito una serie di interrogativi sul suo futuro; a prescindere da quello che veramente ne sarà di lui Stray Dogs è comunque un capolinea filmico, un punto di non ritorno nella cinematografia del regista taiwanese, un traguardo raggiunto grazie all'estremizzazione di uno stile molto personale e a tratti piuttosto ostico, ma pur sempre ricco di fascino e di interesse.
Stray Dogs è film epurato da qualsiasi orpello narrativo, scarnificato fino all'osso, elevato a sostanza essenziale priva di qualsivoglia traccia o struttura : è un po' come raggiungere il nocciolo duro di una sostanza multiforme e cangiante che negli anni fra le mani del regista è stata depurata e rielaborata in forme sempre più vicine al metafisico.
Il racconto, ma sarebbe meglio dire il tema del film, perchè di traccia narrativa non c'è neppure l'ombra, è un quasi ossessivo circuito di immagini fisse, piani lunghissimi che spesso vanno anche oltre i dieci minuti, in cui è racchiusa una visione buia e lacerata di una esistenza misera, quella del protagonista costretto a fare l'uomo sandwich nelle strade di Taipei pubblicizzando immobili e dei suoi figlioletti , naufraghi disperati in un mondo che li ha spinti ai limiti, tra baracche, palazzi in rovina, sterpaglie, bagni pubblici dove lavarsi e espedienti per sopravvivere.
Tutto l'ambiente è fortemente ostile: la pioggia che cade incessante, il vento che non da tregua e che sibila forte nelle orecchie , una città indifferente che mostra il suo lato più squallido; rovine e degrado, circondano e inglobano i protagonisti.
C'è anche la flebile presenza femminile, tre personaggi che sembrano essere una sorta di tripartizione della figura materna e muliebre, una figura che, sembra di intuire, ha deciso di spingere anch'essa oltre i limiti del possibile la misera esistenza del marito e dei figli.
Il fluire delle immagini è scandito dai tempi propri di Tsai: lunghissimi silenzi, facce impietrite, lacrime che sgorgano silenziosamente, occhi persi nel vuoto anche quando sembrano inseguire una coscia di pollo o un gelido e astratto affresco; tutto senza una parvenza di sequenzialità temporale e tanto meno di una minima traccia narrativa, neppure qualche briciola di pane che come Pollicino possa aiutarci a trovare la strada.
Stray Dogs è quasi il nulla filmico, uno spazio vuoto colmo solo di immagini statiche nelle quali il tempo sembra non avere gli stessi connotati che conosciamo; che poi il film di Tsai sia realmente una summa mirabile del suo lavoro, il film perfetto, questo forse è da valutare bene, perchè accanto all'indubbio fascino e alla quasi tragica magia che infonde , mostra una autorefenzialità che raggiunge punte estreme ed un autocitazionismo di maniera.
L'immagine dei cani e dei protagonisti del film che condividono lo stesso stabile diroccato e fatiscente, ferito nelle sue mura dalla furia del tempo è forse quella che maggiormente rende l'idea della molla ispirativa che ha spinto Tsai a questo lavoro: una equazione che è testimonianza di una condizione precaria e miserrima, vicina all'annientamento.
L'apoteosi finale che sembra richiamare alla mente nei tempi e nelle modalità immagini targate Tsai già viste è invece l'indelebile firma a suggello di un lavoro in fondo al quale c'è l'essenza ultima dell'arte del regista.
Di Tsai Ming Liang mi manca da vedere solo questo, lei lo ha visto in sala? Lo chiedo perchè non riesco a reperirlo ne in dvd ne su internet.
RispondiEliminaVisto Live su Mymovie giovedì sera, direi che ne è valsa la pena.
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