Lavoro d'esordio di Ho Hong, regista con alle spalle un background pubblicitario e di confezionamento di clip musicali, Doomsday Party è film intensamente HKese fin nel midollo: non perchè tenti di richiamare i fasti e gli albori dei vari generi che hanno fatto della cinematografia dell'ex colonia britannica un modello spettacolare di linguaggio visivo, ma perchè racchiude in sè un compendio piuttosto esteso di problematiche sociali, politiche, di costume che sono intimamente legate alla recente storia di Hong Kong.
Il film è un thriller sui generis con qualche venatura di action nel finale, costruito con intelligenza e con il giusto groviglio narrativo che all'inizio potrebbe disorientare non poco: l'inizio, ben girato e con sfumature che rievocano i grandi maestri HKesi che hanno saputo dipingere nitidamente la città ( Johnnie To e Fruit Chan ad esempio), raggiunge il suo momento topico in una rapina in banca che avviene mentre nelle strade imperversano le manifestazioni di protesta contro il caro degli alloggi, la difficile situazione economica legata alle ricorrenti crisi finanziarie e la corruzione ( anche qui c'è qualcosa di premonitore...); i personaggi protagonisti del film si ritrovano, ognuno seguendo il suo personale sentiero, nella banca prima che un lunghissimo rewind, forse pleonasticamente sottolineato dal procedere a ritroso delle immagini che catturano le scene di vita di Hong Kong, ci inizia a raccontare i personaggi.
Nella storia sono rappresentate un po' tutte le tipologie dell'abitante di Hong Kong: il poliziotto tutto d'un pezzo che rischia di perdere la vista per il glaucoma, l' impiegata di banca impelagata in un affare sentimentale poco appagante con un rampante tutor, il vecchio insegnante cui la vita sembra avere già regalato tutto, la vedova di mezza età invischiata in una relazione più grande di lei, una coppia di giovani arrabbiati e un po' freaks; tutte le storie finiranno per convergere nella banca dove ognuna di esse cerca la soluzione.
Mentre per alcuni personaggi il tratteggio è ben costruito e approfondito, per altri il regista va un po' alla carlona non scendendo nei particolari e lasciando così qualcosa di superficiale e incompiuto; a fronte di ciò però le tematiche sociali sono ben rappresentate e costituiscono il cuore del racconto e, tutto sommato, anche la morale del film: il problema del mercato immobiliare, i risparmi volatilizzati dalle banche impelagate in sempre più frequenti crisi finanziarie globali, la politica sempre troppo lontana dalle masse, la corruzione e l'inefficienza, ognuno dei personaggi del film è legato all'altro attraverso un intricato filo che conduce al nocciolo del film; da qualsiasi parte tu provenga e qualsiasi cosa tu faccia nella vita, il punto d'incontro sta nella resa dei conti col denaro e con la soluzione dei problemi legata ad esso.
Ecco quindi che il palcoscenico dell'ultima mezz'ora, la banca appunto in cui si ritrovano i protagonisti della storia legati fra loro da esili fili, diventa uno spaccato della moderna Hong Kong verso cui Ho Hong si rivolge spesso, quasi a specchiarsi.
Insomma se Doomsday Party presenta qualche difetto nella sceneggiatura questo è ampiamente compensato da una buona regia in cui non sfugge la mano da videoclip del regista, oltre alle fonti ispirative di cui si è detto; per tale motivo possiamo anche sorvolare sul videoclip finale che accompagna i credits che se da un lato è divertente e persino dissacratorio relativamente alle atmosfere del film, dall'altro col film non c'entra praticamente nulla, quasi una licenza narrativa priva di ogni motivo.
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