Giudizio: 8.5/10
Presentato come film a sorpresa nel Concorso della Mostra Cinematografica di Venezia del 2011 e vincitore altrettanto a sorpresa del Leone d'Argento per la miglior regia, People Mountain People Sea è stato l'ennesimo grande successo di Marco Muller, allora Direttore della rassegna, nella sua instancabile e meritoria opera di divulgatore del cinema orientale, e cinese in particolare, in Italia.
Il film di Cai Shangjun infatti è un esempio, piuttosto raro a dire il vero, di quel cinema indipendente, quasi sovversivo che la Cina sa produrre tra le innumerevoli difficoltà legate alla censura e alla scarsa disponibilità di fondi che riesce grazie ai Festival a raggiungere un pubblico più vasto.
Opera seconda del regista cinese, apprezzatissimo sceneggiatore di alcuni lavori di Zhang Yang, People Mountain People Sea è un durissimo, quasi spettrale e disperato ritratto della società cinese, quella che sopravvive all'ombra del boom economico e delle ricche aree urbane più evolute, ma è prima di tutto un eccellente saggio di regia da parte di Cai, che si distingue per uno stile tanto scarno quanto pregnante.
Il protagonista della storia è Lao Tie , costretto a tornare al suo villaggio natale in una delle zone più arretrate e povere della Cina centrale, dopo avere causato un incidente sul lavoro procurando un grave infortunio ad un lavoratore; tornato a casa scopre che il fratello minore è stato rapinato della moto ed ucciso; come un impulso naturale ed atavico Lao Tie decide di mettersi alla caccia del delinquente avvistato dapprima nei villaggi limitrofi e poi in città.
La discesa a Chongqing, la megalopoli che accoglie 30 milioni di abitanti e che accanto ai grattacieli nutre baraccopoli e tuguri degni delle peggiori favelas, e il viaggio verso nord dove in una miniera illegale pare che lavori l'assassino, sono le tappe di un road movie allucinante alla conclusione del quale, in un deflagrante finale risiede l'allegoria più nitida di tutto il film.
Il viaggio di Lao Tie è un viaggio non tanto nella sporca umanità che alberga nell'uomo stesso, bensì l'epifania di una Cina dipinta a tinte persino più fosche di quelle reali ma che nel suo eccesso iconografico nasconde una metafora della condizione del paese: egoismo perfido, corruzione, violenza, mancanza di qualsiasi forma di rispetto reciproco, sporcizia e latrine, droga e delinquenti, la Cina di Cai è un girone dantesco nel quale si sono dati appuntamento i più grandi peccatori della storia dell'umanità.
Ma l'impronta stilistica che fa di People Monutain People Sea un film durissimo e arso dal pessimismo più assoluto è l'assoluta mancanza di affettività: i personaggi uccidono, rubano, si drogano, perpetrano atti violenti quasi fossero automi, privi della minima parvenza di etica, come se il mondo fosse racchiuso all'interno alle poche e scarne leggi della sopravvivenza violenta.
Cai per dare vita al suo dipinto fosco della Cina contemporanea usa uno stile essenziale, asciutto, fatto di lunghi piano sequenza e di piani fissi dove spesso si muove poco o nulla cui fa da contraltare un paesaggio selvaggio, abbacinante nella sua dura bellezza, percorso però da fremiti distruttivi (a tal scopo la scena dell'omicidio del fratello, in una ampia spianata dominata dal bianco della terra e spettacolare) nei quali si muove la Cina quella sporca , ruvida, quella degli scatarri per terra e delle baracche rivestite di giornale.
Quello che può sembrare un film eccessivo, ed in alcuni passaggi di certo lo è, si configura di fatto come un incubo sociale e antropologico che non lascia scampo, se non in un finale che forse segna la via d'uscita da una situazione che Cai proietta, profeticamente, nel futuro, quando le enormi contraddizioni di un grande paese potrebbero giungere al redde rationem.
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