Giudizio: 7/10
La grande promessa del nuoto coreano Gwang-soo possiede un talento natatorio smisurato che potrebbe portarlo a ben figurare alle prossime Olimpiadi, ma al contempo quel talento è racchiuso in una mente immatura, da ragazzino scapestrato e bizzarro che si comporta quasi fosse un idiota fino a veder fallire le sue aspettative e soprattutto quelle del coach con comportamenti assurdi (si può saltare di punto in bianco una settimana di allenamenti in vista delle selezioni olimpiche solo perchè si vuole cazzeggiare giocando d'azzardo con un manipolo di compari? ).
Nei primo quarto d'ora di Fourth Place prendiamo quindi contatto con la personalità di Gwang-soo, attraverso un elegante bianco e nero.
Salto in avanti di sedici anni e vediamo lo stesso Gwang-soo, grigiamente adagiato nella sua vita insulsa, contattato da una donna cui vuole affidare il figlio adolescente, anche lui dotato di buon talento ma che inevitabilmente alle gare arriva sempre quarto.
Per un coreano la medaglia di legno è una umiliazione prima di tutto, perchè non placa la competitività , più o meno indotta dalla società, tra le più selettive del mondo.
Inoltre per il ragazzino Joon-ho primeggiare nel nuoto significherebbe poter ambire ad una borsa di studio che gli assicuri la frequenza di qualche prestigiosa università.
Gwang-soo ha fama di essere inaffidabile, scontroso e terribilmente duro coi suoi allievi, nei quali, probabilmente sfoga la sua frustrazione per l'occasione persa in giovane età.
Da un lato un insegnante tirannico e violento che non lesina le bastonate di fronte ai scarsi risultati del ragazzino, dall'altra un allievo con talento sì ma irrimediabilmente figlio dei nostri giorni, terzo incomodo una madre che pur di vedere il figlio affermato, e quindi socialmente encomiabile, è disposta a tutto in un eccesso di amore materno che sconfina nella ossessione accecante.
Fourth Place ruota intorno a questo triangolo di personalità, di aspirazioni e di frustrazioni interrogandosi su quale possa essere il confine tra competizione e abbrutimento, violenza e fermezza.
Sebbene il film del regista coreano Jung Ji-woo ,che già qualche anno fa apprezzammo con l'interessante e di tutt'altra atmosfera EunGyo, abbia alle spalle come finanziatore la Commissione Nazionale per i Diritti dell'Uomo coreana e quindi pericolosamente tendente all'enfasi e alla denuncia fine a se stessa, Fourth Place è lavoro che invece sa smarcarsi brillantemente dalla trappola, anzitutto grazie a toni quasi minimalisti che più che gridare lo sdegno per il problema sociale che la forte competitività coreana porta con sè, si focalizza maggiormente sui personaggi e sulle tematiche di cui si fanno portatori.
L'allenatore che si tira dietro la delusione diventata odio per una carriera bruciata, la madre che brama per il figlio un futuro degno e di punta ed il ragazzino che è nella tipica età in cui la personalità inizia a farsi prepotentemente strada e a cozzare contro le convenzioni sociali: l'interagire di questi tre personaggi e l'evoluzione che la storia compie sono senz'altro gli elementi che concorrono a fare di Fourth Place un lavoro sufficientemente profondo, privo di banalità e di superficialità o peggio di luoghi comuni di facile presa.
Soprattutto la figura di Gwang-soo di cui vediamo i due estremi nel prologo iniziale di sedici anni prima e nel presente è efficacemente multisfaccettata grazie al convergere di stati d'animo svariati: la proiezione del suo fallimento sul ragazzino che si esplica nella sua estrema severità e violenza è al tempo stesso l'ammissione della sua sconfitta e della suo disperato di riemergere inseguendo la vittoria del suo allievo.
Insomma Fourth Place è lavoro interessante, che ben affronta il tema della insana competitività del mondo coreano, ma è soprattutto un buon ritratto di un personaggio votato alla sconfitta perenne, ottimamente interpretato da Park Hae-jun nel suo primo ruolo da protagonista in una produzione cinematografica, ben affiancato da Yoo Jae-sang nelle parti dell'allievo e da una validissima Lee Hang-na, che ben sa esprimere la carica di ossessione morbosa che straripa dal suo personaggio
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