Giudizio: 8/10
Un prologo di pochi minuti cupo ed ambiguo in un bianco e nero da film classico d’annata apre The Dead End, il nuovo lavoro del regista cinese Cao Baoping: tre uomini in fuga in un bosco, alle loro spalle un efferato omicidio plurimo che ha sterminato una intera famiglia con tanto di stupro di una giovane donna; al seguito una infante , unica sopravvissuta alla strage, macabro bottino dell’atto criminoso.
Sette anni dopo nella coloratissima città di Xiamen i tre si sono faticosamente costruiti una nuova vita: Yang lavora come tassista , con una spontaneo atteggiamento sempre in difesa del più debole, Xin è un efficiente ausiliario delle forze di polizia e Chen, che in quella fuga rimase ferito ed in seguito mentalmente instabile, passa il suo tempo a pescare in un villaggio in riva al mare e si occupa amorevolmente della cura della ragazzina di salute cagionevole che i tre hanno adottato.
Quando Xin viene assegnato ad un nuovo detective proveniente anche esso dalla sua città d’origine, sembra proprio che il destino che era rimasto silente e nascosto per sette anni sia finalmente pronto a lanciare il suo dardo micidiale e fatale: infatti il detective Yi, tipico poliziotto dall’intuito brillante, basandosi su piccoli indizi che riguardano il suo collaboratore ,intravede la possibilità di poter finalmente chiudere quel suo primo caso di anni prima di omicidio plurimo efferato che fu il suo primo caso insoluto cui prese parte.
Sia Xin che i due amici intuiscono il pericolo , ma fedeli alle severe ammonizioni che il prologo enuncia riguardo il libero arbitrio e la giustizia, affrontano il pericolo di essere smascherati senza fuggire facendo scivolare il film lentamente ma inesorabilmente in un sottile gioco a rincorrersi fino a finire nel vicolo cieco cui rimanda il titolo.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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