Giudizio: 7/10
Che la Corea del Sud potesse essere uno dei tanti paesi fondato e alimentato dalla corruzione dilagante è dato di fatto appurato vuoi dalla storia e vuoi dalle numerose storie cinematografiche che seppur di fantasia, si ispirano comunque a fatti realmente accaduti; ma che un film come Inside Men potesse ergersi quasi a film di denuncia risulta invece più sorprendente; il motivo del grande successo riscosso dal lavoro del regista coreano Woo Min-ho sta nel fatto di avere messo sullo schermo tutto ciò che bolle nelle viscere di un paese in cui la corruzione alimentata dalla bramosia di potere regola tutti i meccanismi politici e sociali: storia da dare in pasto insomma ad una opinione pubblica sempre più sospettosa e mal disposta verso il potere politico.
Va però detto che , fatte tutte le doverose distinzioni, Inside Men non è quello che ci si sarebbe aspettati da un Francesco Rosi o un Elio Petri asiatico del terzo millennio: la componente di denuncia è chiarissima, con tanto di riferimenti e di ambientazione a 360°, ma Woo sceglie quella che potremmo definire la via coreana al film di denuncia e cioè una pellicola nella quel accanto alle tematiche accennate c'è il thriller, c'è la violenza alla coreana (quindi tosta...) e c'è la vendetta.
Il racconto è imperniato intorno ad un losco affare che sta dietro ad alcuni importanti personaggi dell'establishment politico-finanziario coreano: il politico rampante, il giornalista che da anni muove le fila attraverso gli organi di stampa, industriali trasformati in bancomat senza fondo , tutti coagulati intorno ad una truffa che dovrebbe favorire il politico nella corsa elettorale e il potere industriale.
Dall'altra parte il mondo dei gangster, personaggi sempre pronti a schierarsi al soldo di chi paga meglio ed offre maggiori garanzie al consolidamento del proprio potere; di questo mondo variegato fa parte Ahn, un tempo gangster di prima grandezza che però ha voluto volare troppo vicino al sole e si è ritrovato senza una mano e gettato in mezzo al fango; il suo unico obiettivo è ora la vendetta, proprio verso quelli che ora manovrano nel torbido per i propri interessi.
E infine non poteva mancare il classico cavaliere con la bianca armatura, un pubblico ministero deciso a far luce sulle grandi manovre di corruzione e che incrocia la strada di Ahn dal quale dipende buona parte del successo della sua impresa.
Come si vede il film è articolato esattamente come il classico film di denuncia, con tutti i tasselli al posto giusto, ma Inside Men è film coreano fin nel midollo e quindi non poteva non avvalersi di atmosfere e ambientazioni tipiche del thriller e del film d'azione di genere.
Il pregio maggiore del film non sta tanto nel ricercato intrigo narrativo che cerca di imbastire, bensì sulla carrellata di personaggi, tutti paradigmatici di un tourbillon che ruota intorno al malaffare, e anche su certi toni che a volte rasentano quelli della dark comedy.
Inside Men comunque, al di là di come lo si vuol considerare, è lavoro che ha il suo valore, sia perchè la trama presenta la giusta dose di intrigo, sia perchè riesce a tenere insieme vari generi, coagulandoli intorno alla denuncia politica, sia perchè è l'autentico emblema di una lotta senza quartiere per il potere esercitato a vari livelli.
Se il divo Lee Byung-hun non delude in un ruolo per lui tipico, Bak Yun-shick nella parte del giornalista che muove i fili possiede il giusto cinismo e Cho Seung-woo in quella del pubblico ministero ben rappresenta la coscienza di un paese stanco dei giochi di potere nelle alte sfere.
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