Giudizio: 7.5/10
Ogni annata cinematografica porta con sè il film "fenomeno", seguendo una tradizione che dura ormai da molti anni: il 2017 è stato di certo l'anno di Scappa-Get Out , opera prima del regista Jordan Peele, meglio conosciuto fino ad ora come attore comico brillante in film e programmi televisivi.
Dal 23 gennaio del 2017 , giorno in cui vide la luce al Sundance Film Festival, rassegna di cinema indipendente che sforna ogni anno lavori che soprattutto una critica molto benevola con troppa facilità definisce capolavori, non c'è stata società di critici cinematografici di ogni angolo degli USA che non abbia conferito riconoscimenti al lavoro di Peele, cui è seguito anche un buon successo in diversi altri paesi.
Il motivo non è difficile scoprirlo, al di là dell'aspetto puramente artistico del film: Get Out infatti va ad analizzare quello che nonostante gli otto anni di Obama alla Casa Bianca rimane un grande problema nel paese, cioè il razzismo e l'intolleranza.
Il protagonista del film è Chris un giovane afroamericano, fotografo di professione che va a passare il week end a casa dei genitori della fidanzata Rose, una ragazza bianca figlia della borghesia americana.
Indovina chi viene a cena rivisitato mezzo secolo dopo? In parte sì, perlomeno come atmosfera iniziale, perchè in effetti al posto del liberal Spencer Tracy in crisi con la sua coscienza di fronte al futuro genero nero, qui abbiamo una famiglia dall'apparenza ultraliberal: padre neurochirurgo che per mettere subito le carte in tavola dichiara il suo amore per Obama che avrebbe votato anche per la terza volta se solo fosse stato possibile, madre psicanalista e , oltre a Rose, un figlio studente di medicina; insomma quello diffidente è proprio il nero Chris che sin dal suo arrivo nota con un certo fastidio la presenza di un giardiniere nero e di una cameriera nera a servizio presso la bellissima villa nel bosco dei genitori di Rose.
In effetti col passare del tempo qualcosa di strano inizia ad affiorare facendo aumentare il senso di inquietudine nel giovane che si ritrova , all'insaputa sua e della ragazza, nel bel mezzo di una festa famigliare popolata da personaggi alquanto bizzarri.
Quando alcuni strani avvenimenti iniziano ad accadere, Chris si convince sempre più di essere finito in una situazione enigmatica e pericolosa.
Da qui in poi Get Out inizia a scivolare verso il thriller prima e l'horror dalle sfumature fantascientifiche poi, per cui meglio fermarsi pena l'inevitabile spoiler sanguinoso.
Di certo Get Out è lavoro che brilla per una certa originalità nel modo di affrontare le tensioni razziali e la discriminazione in netta ripresa grazie all'amministrazione Trump: lo sguardo carico di ironia e sarcasmo e le domande che la storia porta con sè caricano la pellicola di quella patina da liberal un po' fighetto, salottiero e anche decisamente ipocrita, sebbene il lavoro di Jordan Peele non fallisce certo miseramente come alcuni degli ultimi tentativi del cinema americano di riproporre l'eterno problema delle tensioni razziali.
Peele sembra chiedersi: siamo sicuri che dopo otto anni del liberalismo di Obama la società americana ha metabolizzato il problema e ha iniziato ad affrontarlo in maniera costruttiva? O la recrudescenza trumpiana è solo l'esito della politica del suo predecessore?
Sì perchè secondo Peele il razzismo dopo l'esperienza del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca ha solo cambiato il suo volto, mostrando quello più subdolo, proprio perchè ammantato di un finto liberalismo di facciata.
Get Out è lavoro interessante, sebbene non quella gemma cinematografica come da più parti si è scritto e discusso, ed il suo punto di forza maggiore non sta tanto nella prospettiva con cui Peele affronta la tematica, bensì nella armoniosa miscela di generi che si succedono nei cento minuti della pellicola che alterna la commedia classica al thriller e all'horror, con spunti di ironia sottili ed efficaci.
Semplificando al massimo la teoria di Peele riguardo alla nuova forma di razzismo è : " diffidare di chi dice che la perfezione sta in un corpo nero con un cervello bianco", che per qualcuno può sembrare una sorta di pacificazione razziale mentre invece è espressione della forma più bieca di intolleranza.
Sostanzialmente concordo con buona parte della tua recensione ma, paradossalmente, ho avuto la netta sensazione che la tematica razziale sia stata una scusa senza se e senza ma.
RispondiEliminaUna sorta di pretesto narrativo (qualcuno direbbe un "macguffin") per far dipanare una trama, concretamente, abbastanza lineare (solo io ho visto riferimenti al "Villaggio dei dannati"?): se non ci fosse stato il discorso del colore della pelle sarebbe cambiato qualcosa?
Quanti sono i film che trattano di un individuo che entra a far parte di una comunità in cui accadono strane cose?
Certamente non pochi ed è proprio per questo motivo che la motivazione razziale mi sembra alquanto pretestuosa (vedasi regista) mentre, a mio parere, traspare maggiormente la tematica della mancata integrazione tra l'individuo e la massa, tra coloro che si sono conformati a determinate regole (scritte e non) e chi vuole pensare con la propria testa (anche a costo di sbagliare).
Ad ogni modo un buon film ma niente di così trascendentale.