Giudizio: 7.5/10
L'ennesimo capitolo del trattato cinematografico sui rapporti e le relazioni umane di Hong Sangsoo, mai prolifico come questi ultimi due anni, è un elegante lavoro in bianco e nero improntato al consueto minimalismo stilistico: The Day After è lavoro che riporta al passato, non solo per la scelta di un bianco e nero molto "televisivo" ma anche per il profilo dei suoi protagonisti, un perenne movimento circolare che sembra riportarci ogni volta al punto di partenza ma che nelle pieghe mostra sempre qualche aspetto distintivo e nuovo che arricchisce la carrellata di personaggi, situazioni e tematiche tanto cari al regista coreano.
Bongwan è il proprietario di una piccola ma ambiziosa casa editoriale, ha un affaire con la giovane segretaria che la moglie in un incalzante interrogatorio mattutino, seguendo un istinto tipicamente femminile, porta allo scoperto; quello che la moglie non sa è che la tresca è bella e finita e Bongwan è macerato dai ricordi e dalla mancanza della sua giovane amante che lo ha mollato al culmine della consueta scena madre consumata nel solito ristorante davanti alle solite bottiglie di soju scolato.
Dopo qualche giorno, essendo la ragazza sparita nel nulla, decide di assumere una nuova segretaria, Areum, un gentile fanciulla, amante della scrittura e delle lettere, appena uscita dall'università; naturalmente l'uomo mostra da subito un certo interesse per la ragazza, chiodo scaccia chiodo e via i tormenti.
Ma Areum sembra avere una stoffa differente, le lusinghe velate dell'uomo non la toccano e anzi vorrebbe svolgere il suo lavoro con la massima professionalità.
Altra scena madre: la moglie piomba nell'ufficio e se la prende con la povera Areum pensando che l'amante del marito sia lei, nonostante le assicurazioni della ragazza e del marito un po' meschino la donna non appare troppo convinta.
A completare il quadro ingarbugliato che trasforma tutta la situazione in un quadrilatero irregolare la vecchia fiamma ricompare dopo un mese reclamando non solo il suo posto di lavoro, ma pensando di sfruttare la situazione per fare fessa la moglie di Bongwan e tornare al suo ruolo di amante.
Un finale che sembra volere nascondere un'altra di quelle porte scorrevoli narrative tanto care ad Hong, presto si rende ben comprensibile, scavando un fossato tra il mondo di Areum e quello dei triangoli amorosi clandestini e un po' squallidi.
Non è difficile difficile con una trama simile ripensare a quei lavori di Hong di qualche anno fa popolati da personaggi ambigui e molto spesso carichi di una spregevolezza che si alimenta dell'egoismo e dell'incapacità a relazionarsi.
La descrizione dell'intreccio di rapporti che si sviluppa nel triangolo amoroso che diventa quadrilatero è efficace grazie ai contorni coi quali Hong tratteggia i suoi personaggi: se escludiamo Areum, una mosca bianca nel mare di inquietudine che tracima dagli altri, Bongwan, la moglie e l'amante rivaleggiano in quanto a fragilità emotiva , ad inadeguatezza e a desiderio di creare legami che nutrano il proprio egoismo.
Non solo l'uomo, paradigma dell'egoismo che rasenta il narcisismo, ma anche la giovane amante che pur di riprendersi il suo posto ( sia lavorativo che sentimentale) non si pone problemi a proporre un piano diabolico per mettere in mezzo la povera Areum: insomma la "solita" e ben nota commedia degli affanni umani nel trovare un equilibrio sentimentale e relazionale.
Il bianco e nero esalta il minimalismo anche tecnico di Hong fatto di piani fissi e zoomate perentorie, quadri statici infarciti di dialoghi a volte ridondanti che costituiscono il fulcro del cinema del regista coreano.
La prova di Kim Minhee, ormai anche musa artistica indissolubilmente legata ad Hong, risalta ancor di più grazie alla freschezza del personaggio di Areum, unico bagliore nel grigiore degli affanni e delle difficoltà della vita di relazione degli altri personaggi.
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