venerdì 1 ottobre 2010

Il dolce domani ( Atom Egoyan , 1997 )

Giudizio: 6/10*
Tragedie in serie


Il destino malefico si abbatte sul piccolo villaggio innevato tra le montagne: lo scuolabus che porta i bambini a scuola precipita nel lago ghiacciato uccidendoli tutti , tranne la guidatrice ed una ragazza che rimane paralizzata. Poco dopo però incominciamo a sospettare quasi che l'evento tragico altro non sia che una punizione di qualche divinità severa e spietata contro una comunità in cui si consumano chiacchiere, maldicenze, tradimenti incrociati, addirittura incesti. Come non bastasse, sul posto arriva un avvocato  che cerca di spronare i genitori dei ragazzi ad una causa di risarcimento , basata su fantomatiche negligenze, ma che di fatto non fa altro che portare la sua gerla ricolma di drammi personali nel già plumbeo ambiente: separato e con figlia drogata avviata sul viale dell'autodistruzione senza ritorno, il suo sembra anzitutto un atto di autoespiazione per dare un fine alla rabbia e al dolore che lo consumano.
A far da filo conduttore quasi nascosto la favola del pifferaio magico, il cui senso, nell'insieme della narrazione, rimane abbastanza oscuro, a meno che non si voglia prendere per buona la similitudine del bus con lo scaltro pifferaio che ripulisce di bambini la città che con lui era stata ingrata, interpretazione piuttosto superficiale e anche forzata visto che chi la narra in continuazione è la ragazzina superstite della tragedia.
Sta di fatto che concentrare una messe così abnorme di sciagure , iatture e bassezze varie non aumenta certo il pathos del racconto , anzi, ed Egoyan non è Solondz, soprattutto perchè le intenzioni non sono probabilmente quelle.
Ne risulta quindi un lavoro che ha delle basi al limite dell'artificioso e che manca oltre tutto di forza emotiva, tanto algida e asettica è la struttura narrativa: non è sufficiente stipare drammi e tragedie , personali e collettive, per dare forza al racconto quando poi il tutto rimane ad un livello troppo esteriore.
Indubbiamente Egoyan da prova di saper costruire un buon registro narrativo, intersecando tre piani temporali, il primo dei quali, che racconta le ore precedenti all'incidente, riesce anche a creare una certa tensione nell'attesa del dramma, il secondo ci presenta l'avvocato alla ricerca di notizie utili ( e di proseliti) per la causa, il terzo il viaggio dell'avvocato stesso verso l'ennesimo tentativo di recupero della figlia. Il passare da un uno spazio temporale all'altro è molto ben giocato ed è l'aspetto più valido della pellicola.
Non si pensi, quindi, ad un legal thriller alla Grisham, è solo il pretesto la causa da mettere in piedi per il risarcimento, piuttosto il regista vuole raccontare come in un ambiente degradato moralmente una tragedia così immane venga vissuta con atteggiamenti e reazioni diverse, frutto di una sensibilità e di una impossibilità a superare il dramma  propria di ogni individuo.
Qualche bel momento e la citata struttura temporale del racconto, oltre alla mano del regista che comunque si vede, concedono al film una sufficienza che giustifica la visione; rimane piuttosto un mistero la scelta che illo tempore portò la giuria di Cannes ad insignire della Palma d'oro un film che non passerà certo alla storia.

4 commenti:

  1. Mi ha deluso , perchè se come dici tu il film è costruito bene, è anche vero che un concentrato di tragedie e di meschinità è tale da far sembrare il tutto quasi artificioso.
    Ho preferito di gran lunga Exotica.

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  2. Exotica è in cantiere e lo vedrò presto; qualcosa di artificioso effettivamente affiora, ma la mano del regista mi piace.

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  3. Lo vidi al cinema e ne rimasi scosso per giorni.
    Sarà che a me Egoyan in genere piace molto ma mi rendo conto che come tutti gli autori molto personali possono non essere in sintonia con la sesibilità di qualcuno.

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  4. Conosco poco Egoyan e debbo dire che la mano si vede che è sapiente, però onestamente questo a me ha deluso abbastanza, ci ho trovato troppa freddezza in una situazione troppo estremizzata; poi è chiaro che è giustissimo quanto dici sulla sensibilità (che poi spesso è accettare il gioco del regista) per poter valutare un film

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