Vivere nella città assediata
Quello che per Ann Hui in The way we are è un gigantesco palcoscenico, microcosmo della perdita di identita e di personalità, per Lawrence Lau è invece una prigione irta di grattacieli, di palazzoni che conduce all'alienazione; Tin Shui Wai , la periferia residenziale dei nuovi territori di Hong Kong si offre con crudezza , carica di cattiveria , di alienazione abbrutente in cui gli adolescenti , un po' homeless, un po' disadattati, scrivono le loro regole di vita, circoscritto in un'area che sembra non respirare e vedere la luce tanto fitti sono i palazzi che la compongono.
E' in questo ambiente che seguiamo la storia di Ling, quindicenne con alle spalle una famiglia sgretolata, che scopre che il fratello minore, fuggito di casa due anni prima, ha prima ucciso una sua coetanea e quindi ha tentato il suicidio.
Il ragazzo sarà costretto a conoscere più da dentro l'ambiente delle gang giovanili, alla ricerca della verità sul fratello, in coma in ospedale dopo il tentato suicidio; con occhio investigativo e al contempo terrorizzato conoscerà quelli che erano i compari del fratello, tutti devastati da violenze e abbandoni famigliari, e i loro loschi traffici pericolosi.
Lo scoprire i tasselli di una realtà dolorosa e agghiacciante sembra condurre il film verso un finale che sia almeno a tinte un po' meno fosche, ma con un colpo di scena che è anzitutto un colpo pesantissimo allo stomaco, l'epilogo sarà durissimo, grazie ad una scena conclusiva indimenticabile, dando una simbolica e metaforica parvenza di genesi al fenomeno degli adolescenti che vivono in strada.
Lo scoprire i tasselli di una realtà dolorosa e agghiacciante sembra condurre il film verso un finale che sia almeno a tinte un po' meno fosche, ma con un colpo di scena che è anzitutto un colpo pesantissimo allo stomaco, l'epilogo sarà durissimo, grazie ad una scena conclusiva indimenticabile, dando una simbolica e metaforica parvenza di genesi al fenomeno degli adolescenti che vivono in strada.
E' un film di situazione Basieged City, povero di trama, fatto semplicemente piazzando la macchina da presa alle calcagna dei giovanissimi protagonisti (tutti incredibilmente bravissimi); succede poco, pochissimo, ma è l'ambiente , il cilma che si respira a dare ricchezza alla narrazione, lo scoprire passo dopo passo la durissima realtà della gang giovanili, lo spiccatissimo e tragico senso di auotdistruzione cui sono votati i protagonisti, che solo sporadicamente cercano di considerare una fugace redenzione.
Non è un film sociale nel senso stretto del termine, è piuttosto un film a metà strada tra l'antropologico ed il fenomenologico in cui i palazzoni del quartiere sembrano avere già scritto la storia di chi ci abita.
Lawrence Lau, regista cui non manca una certa sensibilità per le tematiche giovanili, dirige egregiamente il lavoro , e non solo per le bellissime immagini dominate dagli alveari alti decine di piani che incombono sul quartiere, ma anche per il suo modo asettico di porsi di fronte alle tematiche trattate che potevano presentare molteplici trappole (dai polpettoni moralisteggianti alle querelle pedagogiche); sfrutta il personaggio di Ling e la sua indagine per farci calare in una realtà da cui emerge prepotentissimo un buio pessimismo che spaventa così privo di apparente via d'uscita come ci appare.
Riuscire a trasmettere un senso poetico con immagini potenti , crude, ma piene di dolorosa umanità è grandissimo pregio di cui può fregiarsi Lau, il cui occhio appare sempre attento a raccontare ora momenti onirici (la scena iniziale) ora angoscianti come la già citata scena finale o la rappresentazione del vuoto esistenziale che regna nei giovani protagonisti.
Non è un film sociale nel senso stretto del termine, è piuttosto un film a metà strada tra l'antropologico ed il fenomenologico in cui i palazzoni del quartiere sembrano avere già scritto la storia di chi ci abita.
Lawrence Lau, regista cui non manca una certa sensibilità per le tematiche giovanili, dirige egregiamente il lavoro , e non solo per le bellissime immagini dominate dagli alveari alti decine di piani che incombono sul quartiere, ma anche per il suo modo asettico di porsi di fronte alle tematiche trattate che potevano presentare molteplici trappole (dai polpettoni moralisteggianti alle querelle pedagogiche); sfrutta il personaggio di Ling e la sua indagine per farci calare in una realtà da cui emerge prepotentissimo un buio pessimismo che spaventa così privo di apparente via d'uscita come ci appare.
Riuscire a trasmettere un senso poetico con immagini potenti , crude, ma piene di dolorosa umanità è grandissimo pregio di cui può fregiarsi Lau, il cui occhio appare sempre attento a raccontare ora momenti onirici (la scena iniziale) ora angoscianti come la già citata scena finale o la rappresentazione del vuoto esistenziale che regna nei giovani protagonisti.
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