sabato 4 dicembre 2010

I saw the devil ( Kim Ji-woon , 2010 )

Giudizio: 7.5/10
La cattiveria che riempie lo schermo


L'ultimo lavoro di Kim Ji-woon è uno di quei film  destinati a rimanere impressi a lungo, per  i suoi aspetti positivi (molti) , per quelli negativi (pochi) , per il suo costante rimandare al revange film di cui il connazionale Park ci ha donato una splendida trilogia e per il fatto, assolutamente non secondario, che la bravura e la raffinatezza tecnica del regista, che ne fanno uno dei più importanti e forse sottovalutati artisti cinematografici orientali, si impongono in una maniera che visivamente lascia quasi sbalorditi.
Il tema trattato non è dei più originali, ma il modo con cui, almeno all'inizio, Kim lo prende di petto è invece peculiare , grazie ad una ricchezza fiolosofica che non alberga spesso nei thriller-horror.

Uno psicopatico sadico rapisce, tortura e uccide la giovane figlia di un ispettore di polizia , nonchè fidanzata di un uomo dei servizi segreti; l'uomo è ben conosciuto perchè sospettato di altri simili gesta.
Scatta quindi l'ora della vendetta, da consumare lentamente e con la maggiore afflizione possibile, che si perpetua in un gioco in stile gatto e topo, fino ad un finale in cui , una volta che gli estremi si sono toccati, non rimane altro che un mare magnum di cattiveria e di odio.
Ripercorrendo il percorso fenomenologico della nascita della sete di vendetta, Kim racconta da un lato la follia umana che sembra agire spinta solo da una male infinito e dall'altra la discesa negli inferi del proprio essere fino all'ossessione e alla prigionia per essa; tutto il film , che non risparmia nulla in quanto ad esecrabilità visiva, altro non è che la descrizione della malvagità umana, della cattiveria assoluta, pura, fine a se stessa, la si respira per le due ore e mezza del film, la si vede descritta in maniera iperrealista , ma non appare mai fuori dai binari della follia umana, non ci sono nè fantasmi nè mostri assetati di sangue, c'è la follia lucidissima di vittima e carnefice che giocano coi loro ruoli ma non vengono mai meno alla loro coerenza umana.
All'inizio il film gioca molto con il meccanismo del tira e molla tra il vendicatore e la "vittima", ma poi in una parte centrale forse un po' prolissa la narrazione tende a zoppicare un po' appiattendosi forse troppo sul genere, per poi risollevarsi in maniera grandiosa nel finale in cui vediamo i due divenire di fatto gli estremi di una unica entità, in cui risulta difficile capire chi ha vinto e chi ha perso ("Non dobbiamo diventare dei mostri per combattere i mostri").
Sta di fatto che  la forza annientatrice e distruttiva che genera la sete di vendetta trova un altro degno cantore in Kim Ji-woon, del quale ben conosciamo già le notevoli doti nel costruire film visivamente eleganti e prorompenti; qui ha voluto sicuramente spingersi all'estremo, per dare forza al suo messaggio e ammesso ce ne fosse ancora bisogno , ha dimostrato in maniera definitiva di sapersi muovere tra una moltitudine di generi cinematografici con grande sapienza e capacità.
Il film ci rende un ulteriore regalo: il ritorno a livelli eccelsi di Choi Min-sik, emblema della vendetta parkiana in Old Boy che mostra ancora una volta lo stesso sguardo folle e carico di cattiveria; ad esso si affianca Byung Hun-lee nel ruolo del giovane fidanzato che va  ormai considerato l'attore feticcio di Kim e che ben si presta al suo personaggio votato alla discesa all'inferno.


2 commenti:

  1. Il commento mi incuriosisce molto, è un regista bravo che con Two sister a mio avviso ha toccato l'apice. Mi par di capire sia un thriller in perfetto stile, giusto?

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  2. Che Kim sia bravo è fuori di dubbio, che sappia muoversi egregiamente tra stili e registri diversi anche, Two sisters è un bellissimo film che soprattutto si discosta dal ghost movie fatto di capelli neri sulla faccia e di fantasmi vendicativi e basta.
    E' un thriller sciuramente, ma con un forte aspetto filosofico e meditativo sul senso della vendetta.

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