Giudizio: 8.5/10
Quasi a continuare un viaggio attraverso i ruderi della Cina industriale del vecchio secolo costellata di enormi scheletri di cemento testimonianza di una economia statale abbandonata e sostituita dalla nuova corsa economica al mercato, Zhang Meng ripropone in Uncle Victory quanto già genuinamente e splendidamente raccontato in The Piano in the Factory del 2010.
Uncle Victory è un criminale appena uscito di galera dove ha soggiornato per un bel po’ d’anni dopo una resa dei conti con gli ex compari; l’aspetto è di quelli da duro , molto simile a certi personaggi che il cinema di genere ci ha presentato in svariate salse, ma quando con le cattive maniere cerca di riprendersi quello che era suo e cioè un vecchio teatro ormai adibito ad asilo , scopriamo che nel suo animo alberga una gentilezza e una sensibilità solo scalfite dalla galera e dai trascorsi non certo irreprensibili.
Sulla sua strada si para Xiao Mei una infermiera che arrotonda lo stipendio lavorando anche in un night club dove si canta Lemon Tree e The Song of Sunset e si balla la Lambada e dove appunto conosce l’uomo . Tra i due , come per un magnetismo misterioso, si crea un legame dapprima ambiguo , ma quando la donna si propone di aiutare Uncle Victory a gestire l’asilo il sodalizio diventa più chiaro e improntato a sentimenti più genuini: due esseri solitari, che la società dei consumi cinese sembra aver lasciato ai margini ma che albergano, seppur nascosta, una bontà d’animo sorprendente.
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