Giudizio: 9.5/10
Nel Libro di Giobbe Behemoth è una creatura invincibile, che placa la sua voracità divorando le montagne, nulla è in grado di fermarlo se non il Dio che lo ha creato; sulla Mostra del Cinema di Venezia il film dal titolo omonimo del regista cinese Zhao Liang irrompe come una saetta che sprigiona una luminosità e una potenza inaudite, folgorando lo sguardo e i sensi dello spettatore.
L'inizio dell'opera è di una potenza memorabile che con grande disinvoltura pienamente coerente si lega alla Comedia dantesca: "nel mezzo del camin di nostra vita…" sono le prime parole dell'immaginario viaggiatore dal bordo degli enormi buchi che a cerchi concentrici penetrano le viscere della terra nei maestosi paesaggi di solitudine dove regna(va) la natura più ostile del nord della Cina: le miniere di carbone viste dal bordo dell'enorme squarcio nella terra sembrano la rappresentazione iconografica più classica dell'inferno dantesco.
Zhao Liang ci accompagna, lui moderno Virgilio proveniente da una terra lontana, nel dolore di un inferno che si appalesa come un enorme stupro della terra ma che ci trasmette come una lacerazione dell'anima e del corpo dei numerosi minatori dalle facce dipinte per sempre di nero.
Zhao-Virgilio ci accompagna poi dove quel carbone regala il suo frutto: le enormi fornaci da esso alimentate che producono quei metalli che dovrebbero svincolare l'uomo dalla miseria e dalla povertà facendolo salire verso un gradino superiore dell'evoluzione come fecero i nostri antenati all'alba della storia dell'Uomo.
Ma le fornaci sono un'altra faccia dell'inferno dove il fuoco che di rosso tutto colore sprigiona la sua forza devastante rubando il corpo e l'anima di chi offre la sua vita per lo sviluppo industriale.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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