sabato 13 marzo 2010

Tokyo sonata ( Kiyoshi Kurosawa , 2008 )

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Il dramma di Kurosawa che non ti aspetti

La parabola artistica di Kurosawa raggiunge con Tokyo Sonata un punto di svolta fondamentale: quello che era a tutti gli effetti uno dei più illustri esponenti del J-horror, approda ad un film totalmente diverso, un dramma familiare e sociale , in cui anche la sua consueta visione apocalittica viene messa da parte e rielaborata sotto forme meno drastiche.
La storia si impernia su una famiglia media giapponese in cui Ryuhei, il padre, perde il lavoro in conseguenza della globalizazzione e dell'immissione sul mercato di risorse umane provenienti dalla Cina a costi notevolmente più bassi.Il proverbiale senso di autorità, onore e competizione che anima la società nipponica gli impedisce di riferire il suo nuovo status alla moglie, che da brava donna  di casa continua imperterrita nelle sue attività casalinghe; il figlio maggiore si arruola nell'esercito giapponese e quello minore decide di seguire la sua passione per il pianoforte, venendo meno agli ordini del padre.
Il disfacimento della famiglia è lento e progressivo e procede di pari passo con l'insoddisfazione che cresce nei componenti, fino ad arrivare ad una deflagrazione parossistica, in cui ogni scheggia vagherà per una notte alla ricerca di una nuova vita da cominciare,sia essa in riva al mare o nel bagagliaio di un pullman, per poi ricomporsi la mattina nell'ambito delle mura domestiche.
Nel finale li ritroviamo, qualche mese dopo, all'audizione del ragazzo aspirante pianista e la scena conclusiva , falsamente ottimistica, non è altro che il trionfo della rassegnazione.

L'apocalisse tante volte disegnata dal regista, qui è tutta interiore, relegata al nucleo familiare che solo una volta giunto in prossimità dell'annientamento , trova la forza di ricominciare, rassegnandosi, senza sapere quanto accettando, alla nuova condizione. 
Kurosawa è bravissimo nel tratteggiare i vari personaggi, scendendo nel loro baratro, anche se nella seconda parte, in quell'esplosione disintegrante, c'è forse troppa confusione e forzatura, seppur dipinte con la mano tipica del regista che conosciamo; la rassegnazione (non l'accettazione) finale, a dire il vero, stona anche un po' , sia a livello delle dinamiche familiari che a livello sociale più alto, anche se da una chiave di lettura per poter superare quei valori tipici della società giapponese che troppo spesso conducono a drammi enormi.
Stilisticamente è il solito elegantissimo film a chiarissima impronta kurosawiana, senz'altro meno aggrovigliato e teso, ricchissimo di cura per i particolari, di riprese ben costruite e di colori luminosi e netti.
Se mancava una prova ulteriore che indicasse la bravura del regista, questa lo è senz'altro, soprattutto perchè ce lo mostra sotto un'ottica nuova e coraggiosa, considerato quanto critica è la sua lettura della società giapponese alle prese con problemi economici e sociali che sono sì globali, ma che consentono a Kurosawa di mostrarci la Tokyo degli homeless, dei pasti gratis nei parchi e  dei disoccupati che vive a fianco di quella dei grattacieli e della modernità.

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