lunedì 31 maggio 2010

After this our exile ( Patrick Tam , 2006 )

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Diciassette anni dopo

L'attesissimo ritorno dietro la macchina da presa di Patrick Tam ha monopolizzato l'interesse di numerosi festival dove ha anche riscosso svariati premi ; After this our exile , titolo che contiene in sè già qualcosa di autobriografico, è film che non tradisce comunque le attese, tra tante luci e qualche ombra , a maggior ragione se si valuta quanto distante possa sembrare questo lavoro da quelli che hanno fatto la storia del nuovo cinema HKese, al punto da apparire come un completo e totale cambio di rotta da parte del regista. Vero che 17 anni , tanto è durata l'assenza di Tam, possono rendere ragione di tale cambiamento, ma altrettanto giusto è sottolineare come certi tratti del suo cinema sono ancora ben presenti.
La storia, semplice e lineare, è quella di un uomo, Shing, alla continua rincorsa del benessere da donare alla sua famiglia che deve però fare i conti con la sua personalità assolutamente fuori controllo, in cui arroganza, violenza, vizi e insensibilità dominano incontrastati; la moglie , stanca della sua prepotenza e delusa da una vita poco più che grama lo abbandona costruendosi una nuova esistenza agiata, lasciandolo col figlio meno che adolescente.
Il rapporto tra i due imperniato sulla possessività dell'uomo e sulla ricerca di protezione e rassicurazione da parte del bambino si costruisce tra difficoltà estreme, conducendo i due , lentamente ma inesorabilmente, alla deriva.
Il finale intenso e secco come una frustata, apparentemente consolatorio, di fatto disegna una sconfitta forse senza appello di tutti, in cui il nucleo famigliare e gli affetti risultano distrutti.
La parte inziale del film è molto ben costruita, con la piccola famiglia al centro delle vicende, poi però l'incedere diviene pian piano balbettante , anche a causa di qualche lungaggine che poco arreca al contesto e si affaccia qualche facile situazione che vorrebbe strappare indignazione e moraleggiare; di certo Tam ha la capacità di descrivere due personaggi , padre e madre, che in alcuni momenti risultano veramente spregevoli, così intrisi di egoismo ed egocentrismo, senza voler dare loro troppe  giustificazioni facili; inoltre mettendo sempre al centro la figura del povero ragazzino il dubbio che ci sia la ricerca di una facile sentimentalismo sovviene spontanea.
Al di là di queste ombre però, il film è bello, soprattutto molto ben diretto e si avvale di una fotografia penetrante; il conflitto, da cui gronda amore e odio, tra un padre-padrone ed un figlio che nonostante tutto lo ama risulta senza dubbio uno degli aspetti più coinvolgenti della pellicola, soprattutto laddove Shing, obnubilato dal suo ego dirompente, è assolutamente cieco e sordo ai messaggi subliminali del figlio.
Concorre alla riuscita del film l'interpetazione di Aaron Kwok nel ruolo di Shing, bravissimo nell'incarnare il furore  rabbioso del protagonista e quella del piccolo Gouw Ian Iskander nella parte del figlio, che riesce con molta naturalezza a esprimere la caduta agli inferi del ragazzino.

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