Quando la storia diventa riflessione
Im Kwon-taek, tra i più grandi cantori della tradizione coreana, racconta la Storia di una delle più grande ferite, ancora aperta, del paese: quella che fu una vera guerra civile scatenatasi al termine della dominazione giapponese, protrattasi per lunghi anni del dopoguerra e che portò alla spartizione della nazione in due stati.
Da scrupoloso osservatore quale è, attentissimo all'aspetto umano, non indugia in aspetti cronachistici, pur rimandando continui riferimenti storici, bensì si interessa maggiormente a come le persone comuni, i contadini, i soldati, i ribelli comunisti sudcoreani affrontino gli eventi nella loro umanità di fronte alla tragedia incombente.
La lotta tra latifondisti e contadini fa da sfondo sociale alle vicende, foriera di quel malcontento che permetteva ai filocomunisti di fare proseliti; la descrizione è indubbiamente grandiosa e ben racconta come le spinte rivoluzionarie trovino il substrato favorevole nei momenti di profondo disagio sociale.
Ma anche la dissertazione quasi filosofica sull'ideologia comunista, vista più come una utopia , è ben condotta, va dritta alle ragioni del suo fallimento, quasi a delineare uno iato incolmabile tra il mondo ideale di stampo marxista e quello reale in cui i bisogni, le difficoltà , le dinamiche delle società rendono impossibile la sua attuazione.
Alla fine, come sempre, è l'uomo , essere dotato di spirito ma anche di bisogni, che paga per le scelleratezze che si ispirano ai sistemi maggiori: lo sguardo di Im è severo e rattristato nel raccontare il declino di una società che ha fatto delle proprie tradizioni il punto di forza.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un film a forte impronta storica in cui però la narrazione rimane legata ai piccoli protagonisti di vicende personali dove gli impulsi primordiali prendono il sopravvento, svolto con grande imparzialità proprio perchè il regista si erge a cantore di gesta semplici e quotidiane: è il trionfo , consueto quando si riesce, di descrivere con semplicità eventi di portata storica.
Chiarissima anche l'allusione al desiderio di unità nazionale, già metaforicamente descritto da Im in Sopyonje, in cui era il pantsori l'elemento unificante: per un regista che ha fatto delle tradizioni del suo paese il pilastro di molti suoi lavori non è stato difficile ergere la condizione del piccolo paese di campagna in cui si svolgono i fatti ad emblema di una condizione diffusa in tutta la nazione.
E' un'opera, comunque la si guardi, grandiosa, è una altissima riflessione sulla sconfitta che alla fine travolge tutti, lasciando dietro di sè una scia di morti da piangere e di vivi annientati da rigenerare.
Da scrupoloso osservatore quale è, attentissimo all'aspetto umano, non indugia in aspetti cronachistici, pur rimandando continui riferimenti storici, bensì si interessa maggiormente a come le persone comuni, i contadini, i soldati, i ribelli comunisti sudcoreani affrontino gli eventi nella loro umanità di fronte alla tragedia incombente.
La lotta tra latifondisti e contadini fa da sfondo sociale alle vicende, foriera di quel malcontento che permetteva ai filocomunisti di fare proseliti; la descrizione è indubbiamente grandiosa e ben racconta come le spinte rivoluzionarie trovino il substrato favorevole nei momenti di profondo disagio sociale.
Ma anche la dissertazione quasi filosofica sull'ideologia comunista, vista più come una utopia , è ben condotta, va dritta alle ragioni del suo fallimento, quasi a delineare uno iato incolmabile tra il mondo ideale di stampo marxista e quello reale in cui i bisogni, le difficoltà , le dinamiche delle società rendono impossibile la sua attuazione.
Alla fine, come sempre, è l'uomo , essere dotato di spirito ma anche di bisogni, che paga per le scelleratezze che si ispirano ai sistemi maggiori: lo sguardo di Im è severo e rattristato nel raccontare il declino di una società che ha fatto delle proprie tradizioni il punto di forza.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un film a forte impronta storica in cui però la narrazione rimane legata ai piccoli protagonisti di vicende personali dove gli impulsi primordiali prendono il sopravvento, svolto con grande imparzialità proprio perchè il regista si erge a cantore di gesta semplici e quotidiane: è il trionfo , consueto quando si riesce, di descrivere con semplicità eventi di portata storica.
Chiarissima anche l'allusione al desiderio di unità nazionale, già metaforicamente descritto da Im in Sopyonje, in cui era il pantsori l'elemento unificante: per un regista che ha fatto delle tradizioni del suo paese il pilastro di molti suoi lavori non è stato difficile ergere la condizione del piccolo paese di campagna in cui si svolgono i fatti ad emblema di una condizione diffusa in tutta la nazione.
E' un'opera, comunque la si guardi, grandiosa, è una altissima riflessione sulla sconfitta che alla fine travolge tutti, lasciando dietro di sè una scia di morti da piangere e di vivi annientati da rigenerare.
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