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Un gioiello troppo poco apprezzato
Un gioiello troppo poco apprezzato
Per chi fosse rimasto folgorato dal pluripremiato e bellissimo L'uomo che verrà, la visione del film d'esordio di Giorgio Diritti si impone, qualora non lo avesse già fatto, per tutta una serie di motivi: anzitutto è un film magnifico, forse anche più bello del seguente più famoso, poi è un esordio che mostra da subito la bravura e sensibilità del regista, degno allievo di Ermanno Olmi ed infine dimostra l'assoluta ottusità nostrana visto che un'opera di tale livello, apprezzatissima e premiatissima all'estero, è invece passata come una meteora nella programmazione italiana.
Grazie ad un impianto che ormai è divenuto il suo marchio di fabbrica inconfondibile, Diritti racconta una storia semplice, al cui interno ribollono sentimenti, paure, riflessioni sociologiche e antropologiche esposte senza cervellotiche mediazioni e capaci di far centro al primo colpo , avvalendosi di una grandissima capacità di osservazione e di narrazione, lasciando la camera aperta allo scorrere degli eventi e all'espressione naturale, sublimata dal dialetto occitano (opportunamente sottotitolato).
Grazie ad un impianto che ormai è divenuto il suo marchio di fabbrica inconfondibile, Diritti racconta una storia semplice, al cui interno ribollono sentimenti, paure, riflessioni sociologiche e antropologiche esposte senza cervellotiche mediazioni e capaci di far centro al primo colpo , avvalendosi di una grandissima capacità di osservazione e di narrazione, lasciando la camera aperta allo scorrere degli eventi e all'espressione naturale, sublimata dal dialetto occitano (opportunamente sottotitolato).
Le vicende si svolgono in una remota vallata del cuneese, ultimo avamposto della cultura occitana e racchiusa nel suo fiero isolamento culturale e sociale. In questo ambiente giunge come un evento esplosivo, Philippe, ex insegnante francese ora dedito alla pastorizia in fuga dai Pirenei nuclearizzati, lo accompagna l'allegra famigliola con moglie e figli. L'iniziale diffidenza per il forestiero in cerca di casa, lascia il posto ad una benevola accettazione, anche grazie alla mediazione delle menti più aperte della comunità.
Ovviamente l'idillio dura poco: troppo diversi i nuovi arrivati, che appaiono agli occhi dei valligiani irrispettosi delle tradizioni locali, quando invece quello che emerge è una crescente intolleranza dettata da una grettezza che si basa sulla strenua difesa della proprietà , nonostante le leggende tramandate che narrano della grande solidarietà che regna nel paese. La solidarietà non è altro che uno schermo dietro cui si ammantano le paure di una comunità troppo chiusa nella sua tradizione (che è solo nostalgia , come dice Philippe).
Il vento che ha portato la frizzante novità della famigliola alfine gira e riporta via con sè i forestieri, dopo troppe dimostrazioni di incomunicabilità e di avversione.
Il titolo del film è la metafora che diverse volte viene citata nella storia: la ciclicità degli eventi della vita che si impone con l'immagine della macchina che sale i tornanti portando gli stranieri e la stessa macchina che pochi mesi dopo ripercorre in senso inverso la strada tortuosa che percorre la bellissima valle.
La descrizione che fa il regista della comunità montana è strabiliante, avvalendosi quasi per intero di valligiani che fungono da attori, il verismo raggiunge vette che solamente il maestro di Diritti e pochi altri son stati capaci di mettere in scena, la natura viene presentata con la forza delle immagini che risultano più ecologiste di tanti slogan; ma soprattutto è lo studio accurato delle gesta umane, raccontato da dentro la fucina in cui si generano e che si offrono ai nostri occhi, senza mediazioni morali e senza giudizi, che danno alla pellicola un altissimo valore umano. Non esiste nulla di più difficile e di grandioso al contempo che raccontare la semplicità dialettica della vita e con questo film Giorgio Diritti scrive una pagina memorabile.
Ovviamente l'idillio dura poco: troppo diversi i nuovi arrivati, che appaiono agli occhi dei valligiani irrispettosi delle tradizioni locali, quando invece quello che emerge è una crescente intolleranza dettata da una grettezza che si basa sulla strenua difesa della proprietà , nonostante le leggende tramandate che narrano della grande solidarietà che regna nel paese. La solidarietà non è altro che uno schermo dietro cui si ammantano le paure di una comunità troppo chiusa nella sua tradizione (che è solo nostalgia , come dice Philippe).
Il vento che ha portato la frizzante novità della famigliola alfine gira e riporta via con sè i forestieri, dopo troppe dimostrazioni di incomunicabilità e di avversione.
Il titolo del film è la metafora che diverse volte viene citata nella storia: la ciclicità degli eventi della vita che si impone con l'immagine della macchina che sale i tornanti portando gli stranieri e la stessa macchina che pochi mesi dopo ripercorre in senso inverso la strada tortuosa che percorre la bellissima valle.
La descrizione che fa il regista della comunità montana è strabiliante, avvalendosi quasi per intero di valligiani che fungono da attori, il verismo raggiunge vette che solamente il maestro di Diritti e pochi altri son stati capaci di mettere in scena, la natura viene presentata con la forza delle immagini che risultano più ecologiste di tanti slogan; ma soprattutto è lo studio accurato delle gesta umane, raccontato da dentro la fucina in cui si generano e che si offrono ai nostri occhi, senza mediazioni morali e senza giudizi, che danno alla pellicola un altissimo valore umano. Non esiste nulla di più difficile e di grandioso al contempo che raccontare la semplicità dialettica della vita e con questo film Giorgio Diritti scrive una pagina memorabile.
lo vidi in un cineforum d periferia, un film molto bello. visivamente vi sono poi scorci molto affascinanti. una delle poche cose buone girate negli ultimi anni in italia, e ovviamente è passata sotto silenzio.
RispondiEliminaColpevolmente passata sotto silenzio, perchè il suo successo di critica internazionale lo ha avuto.
RispondiEliminaSon d'accordo con te, l'aspetto naturalistico è una grossa componente del film, costruita però con discrezione, lasciando parlare le immagini ed essendo in definitva ben più ecologista di tanti altri film che fanno ricorso a facili slogan.
è un film bellissimo, di quelli che quando esci dal cinema ti immedesimi e pensi a quei personaggi.
RispondiEliminapoi col tempo capisco che il regista racconta una storia di un villaggio di montagna che più universale non si può, in qualunque cinema o piazza di qualsiasi villaggio del mondo tutti capirebbero, e capiscono.
Giusto Ismaele , ed è proprio quello che tu dici l'aspetto più valido del cinema di Diritti, l'universalità del messaggio che nasce dalla visione quotidiana di chi gli eventi li vive in prima persona.
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