mercoledì 19 gennaio 2011

Ararat - Il monte dell'arca ( Atom Egoyan , 2002 )

Giudizio: 6/10
L'arte che veicola la memoria


La memoria di un genocidio troppo spesso sottaciuto, quello degli Armeni ad opera dei Turchi nel 1914, quando non addirittura negato, incombe , pesante come un macigno, sul film , e non potrebbe essere altrimenti ,considerando le origini del regista.
Egoyan però non si lancia in un film storico-politico e assieme di denuncia, probabilmente non è proprio nelle sue corde, troppo interessato come è ai piccoli mondi che si incrociano  ed entrano in conflitto, bensì tenta una operazione di proiezione, ricorrendo all'ormai classico , e spesso abusato, registro narrativo del cinema nel cinema.
Non è quindi lui a dirigere il film sullo sterminio, bensì un affermato regista armeno, che vediamo all'opera nella costruzione di una pellicola dalla chiara impronta retorica; intorno a questo nucleo centrale, ruotano altre tessere di un mosaico, secondo i canoni cari al regista: una scrittrice studiosa di Gorky, artista armeno , simbolo del genocidio, morto suicida nel 1948, il giovane figlio che di ritorno da un vaggio in Turchia alla ricerca delle sue radici, passa la notte in dogana, in attesa che si chiarisca cosa contengano realmente quelle scatole dove abitualmente si conservano le pellicole cinematografiche e che intrattiene col doganiere un lungo discorso sul genocidio e sull'importanza dell'arte; lo stesso pittore Gorky, che vediamo intento a dipingere un suo autoritratto con la madre , opera simbolo sulla quale si teorizza in lungo e in largo nel film; un attore di origine turche che nell'interpretare il film scopre quanto gli eventi di tanti anni prima ancora pesano sulla realtà odierna.

I terribili fatti del 1914 in qualche modo ancora gettano la loro lunga e sinistra ombra su tutti i personaggi insomma, anche se poi , alla fine trovare una conclusione rigorosamente coerente ed organica ,come solitamente offre Egoyan, stavolta non è possibile.
Indubbiamente il regista tratta un tema nel quale mette tutto se stesso, e non potrebbe essere altrimenti, e anche il concetto che l'arte può adoperarsi come testimone di eventi lontani e sepolti viene fortemente ribadito, però alla storia intera manca una unitarietà, troppo frammentata apparendo, in cui ad esempio tutta l'ampia pagina del giovane Raffi a confronto col burbero doganiere, fatica ad inserirsi nel resto della narrazione.
Il film insomma sembra soffrire di quel difetto di ipetrofia narrativa per cui la troppa carne al fuoco non riesce ad essere trattata in maniera sempre valida; il volere conciliare il proprio stile narrativo con le esigenze di denuncia e storiche non è operazione che ad Egoyan in questo lavoro è riuscita.
La pellicola merita la sufficienza perchè si sente l'impegno e il pathos del regista e comunque è diretta con la consueta pulizia, ma alla fine si ha l'impressione di avere assistito a qualcosa di profondamente incompiuto.


2 commenti:

  1. sì, è un film deludente, anche se ci sono molte ottime sequenze è l'insieme che non funziona. Non è un brutto film, ma il soggetto meritava qualcosa di meglio...
    mi era piaciuto Aznavour, che del resto è sempre stato un ottimo attore.

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  2. L'impressione che ho avuto è che Egoyan non sia stato in grado di coniugare un tema che sentiva molto con la sua idea di cinema; si intuiscono gli intenti, ma il risultato è abbastanza deludente.

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