Il mostriciattolo, la bella famigliola e i cadaveri in giardino
Ispirandosi all'eccellente The quiet family del 1998 diretto dal coreano Kim Ji-woon, Takashi Miike ci offre una divertente e quasi totalmente spensierata incursione nella commedia nera, arricchendola , e non poteva essere diversamente, di sprazzi cinematografici proprio del suo bagaglio.
Se l'impianto di base è quello della black comedy, Miike però si diverte a innestarvi musical e thriller, un tocco di splatter ed animazione creando una pellicola che , una volta tanto, si allontana dai suoi stili, un lavoro insomma atipico in cui il punto forte sta proprio nella sua commistione di stili e nella sua struttura filmica molto eterogenea.
Il marchio di fabbrica di Miike viene subito ostentato con un prologo in claymation assolutamente avulso dal resto della narrazione ( e la tecnica viene utilizzata altre volte nel corso del film) con un esserino che spunta fuori da un piatto e che strappa l'ugola alla povera malcapitata ragazza.
La storia vera e propria invece si basa sulle vicende di una famiglia a chiara impronta patriarcale che vive alle pendici di un vulcano e che gestisce un piccolo albergo dove però mancano ormai cronicamente gli ospiti , i quali finalmente arriveranno ( tutti stranissimi ) ma sarnno portatori di sventure, perchè appena mettono piede nell'albergo muoiono in circostanze misteriose. Il capofamiglia , preoccupato del buon nome dell'attività,convincerà il resto della famiglia a occultare i cadaveri piuttosto che denunciarne la morte, per cui la famigliola sarà per lo più impegnata in attività di sotterramento e riesumazione dei cadaveri dal giardino tramutato in cimitero con modalità a dir poco grottesche.
Finale da thriller scanzonato con parodia melodrammatica annessa e famiglia che rimane salva e unita nonostante le sventure che si abbattono su di lei.
A parte il tema della famiglia che in Miike trova sempre spazio (sia essa quella naturale e/o la yakuza), il film scansa abilmente ogni tipo di tematica, lanciando come unico messaggio quello della solidarietà e della coesione famigliare come arma per sopravvivere e per raggiungere la felicità, rivolgendosi più specificatamente al puro divertimento basato su humor nero, canzoni e ipercaratterizzazione dei personaggi, alcuni dei quali assolutamente irresistibili ( il millantatore ufficiale di marina, il nonno della famigliola); esilaranti i momenti in cui la famigliola si lancia in balli e canti da puro musical di fronte ai cadaveri scoperti, in cui la vena dissacratoria di Miike vine prepotentemente alla ribalta.
A parte il tema della famiglia che in Miike trova sempre spazio (sia essa quella naturale e/o la yakuza), il film scansa abilmente ogni tipo di tematica, lanciando come unico messaggio quello della solidarietà e della coesione famigliare come arma per sopravvivere e per raggiungere la felicità, rivolgendosi più specificatamente al puro divertimento basato su humor nero, canzoni e ipercaratterizzazione dei personaggi, alcuni dei quali assolutamente irresistibili ( il millantatore ufficiale di marina, il nonno della famigliola); esilaranti i momenti in cui la famigliola si lancia in balli e canti da puro musical di fronte ai cadaveri scoperti, in cui la vena dissacratoria di Miike vine prepotentemente alla ribalta.
Il coacervo di stili, come detto, costituisce l'aspetto più interessante del film , piuttosto che la narrazione vera e propria che anzi in alcuni punti zoppica vistosamente, i brani da musical non infastidiscono (c'è addirittura un karaoke annesso) neppure chi come il sottoscritto non ama quel genere, semmai quello che è il limite del film, ma Miike è questo, nel bene e nel male, è una certa ridondanza eccessiva, quasi a cercare sempre il limite.
Nel complesso però il film si lascia vedere e conferma la poliedricità del regista che ben sa muoversi anche in territori cinematografici che non sono propriamente i suoi; personalmente ho preferito di gran lunga il lavoro di Kim, ma credo che l'intento di Miike non fosse certo quello di confrontarsi con il collega coreano.
Nel complesso però il film si lascia vedere e conferma la poliedricità del regista che ben sa muoversi anche in territori cinematografici che non sono propriamente i suoi; personalmente ho preferito di gran lunga il lavoro di Kim, ma credo che l'intento di Miike non fosse certo quello di confrontarsi con il collega coreano.
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