L'allegoria riuscita solo in parte
Film tra i più controversi della intera rassegna veneziana dello scorso anno ( si va dal capolavoro alla porcata più infima nella gamma dei giudizi) , il lavoro di Alex De La Iglesia comunque lo si voglia giudicare , il segno lo lascia.
E' fuor di dubbio che l'idea di partenza, cioè raccontare il periodo franchista dai suoi albori fino alla decadenza servendosi dell'allegoria circense e della storia d'amore di due pagliacci per la medesima trapezista, è assolutamente geniale e per taluni versi perfettamente riuscita; che poi il lavoro nella sua intierezza lasci più di qualche perplessità è altrettanto innegabile, troppo legato alla drammatica e violentissima tresca che va maturando nella trama principale.
La storia circense e di pagliacci inizia nel 1937, all'alba del franchismo con una lunga scena iniziale senz'altro tra i punti di forza del film, si lancia nel futuro con la richiesta del padre morente al figlio di inseguire la vendetta e si consuma nei primi anni 70 nell'ambiente del circo in cui il pagliaccio triste Javier e quello allegro Sergio si contrappongono in una spietata lotta per la conquista della bella trapezista bionda, provocatrice e tentatrice al punto giusto; timido e pacato l'uno, violento e quasi spregevole l'altro si troveranno a contrapporsi in una sanguinosa e a tratti estrema (anche visivamente) escalation di violenza in cui non mancano torture, botte, sfregi e automutilazioni, fino al finale simbolicamente combattuto su una croce enorme e chiuso dal pianto irrefrenabile dei due.
Dove l'impianto stona, a volte anche molto, è proprio nell'eccessivo sviluppo della contrapposazione tra i due protagonisti, mentre incipit e prima parte, e qua e là anche nel corso del resto del film, lasciavano intravvedere un più marcato ricorso alla allegoria, momenti che risultano indubbiamente i più belli dell'opera anche perchè venati di frammenti che vanno da Almodovar a Bunuel e, immancabilmente, al Fellini circense.
Laddove la storia principale va a fondersi con la Storia nella maniera che già Tarantino (non a caso presidente di una giuria che ha premiato generosamente il film a Venezia) aveva sperimentato in Bastardi senza gloria, si assiste ad attimi di cinema bellissimo ( il bunueliano morso di Javier-cane a Franco, lo stesso Javier sul luogo dell'attentato a Carrero Blanco che decretò l'inizio della fine del Caudillo e di cui per un attimo viene quasi incolpato), in cui De La Iglesia non risparmia nessuno: franchisti, comunisti, esercito, chiesa.
Sotto questo aspetto il film ha la sua indubbia forza dirompente, peccato solo che il flusso sia troppo a sprazzi, perdendosi spesso dietro momenti che appaiono fuori luogo (l'insistita figura dell'uomo cannone a bordo della motocicletta) che fanno anche passare in secondo piano trovate geniali (i due pagliacci, di cui uno vestito quasi come un cardinale, ridotti, in un modo o nell'altro, a cloni del batmaniano Joker).
Come sempre opere che tendono all'estremo come questa suscitano divergenze notevoli, ma nel complesso il film vale pienamente la visione, pur considerando come , colpevolmente, il regista abbia un po' disperso nel corso dell'ora e mezza di pellicola, quelli che sembravano dei presupposti interessantissimi, quasi geniali.
mi trovo d'accordo. per me la prima parte è ottima, poi il film si perde clamorosamente e nella parte finale mi ha lasciato mooolto interdetto.
RispondiEliminaun'occasione mancata, più che altro..
L'allegoria è bella e ben costruita, quando il regista si lascia prendere la mano per dare un senso alla narrazione il film però scade; nel complesso però il film ha parecchio da offrire.
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