domenica 19 giugno 2011

Butterfly ( Yan Yan Mak , 2004 )

Giudizio: 8/10
L'amore lesbico che riemerge dal passato

Opera che ha girato in lungo e in largo i festival di tutto il mondo, il secondo lavoro della bravissima regista HKese Yan Yan Mak , che di recente ha diretto in coppia con Clement Cheng il bel Merry go round, è di quelli che sono inevitabilmente destinati a suscitare discussioni, vuoi per il tema trattato (e come viene trattato), vuoi per interpretazioni più sottili, quasi sedimentate, cui si presta.
Se è vero che il tema dell'amore lesbico è quello che più emerge prepotente, altrettanto vero è che la storia è anzitutto un racconto di vite fragili, di individui insicuri, di riflessioni su quanto l'omosessualità sia ancora vista dalla società cinese come quasi un tabù e su quanto il clima sociale sia cambiato sì ma non nella direzione in cui si sperava che andasse sul finire degli anni novanta: non a caso, larghi brani del racconto tornano ai giorni della rivolta di Piazza Tienanmen, periodo in cui la protagonista Flavia, appena uscita dall'adolescenza viveva il suo grande amore con la compagna di scuola Jin.

Anni dopo ritroviamo Flavia sposata e fresca madre, insegnante di una scuola femminile ad Hong Kong, apparentemente rinata sotto mentite spoglie; sarà sufficiente uno sguardo casuale in un supermarket per riportare a galla la sua mai rimossa omosessualità che la porterà tra le tenere braccia di Yip , cantante dalla vita sregolata ma dotata di grande forza magnetica sulla più matura Flavia.
Passato e presente, scelte di allora e titubanze di adesso, frammenti famigliari passati e presenti si mescolano in un continuo sovrapporsi di piani temporali che conducono tutti al centro della vita di Flavia, decisa stavolta a dipanare i nodi della sua esistenza in piena libertà, a non lasciare dietro di sè una scia di rimpianti e a saldare i conti col passato.
Il finale ottimista non toglie quel senso di melodramma pacato che percorre tutta la pellicola.
Yan Yan Mak compie una serie di scelte che sono dei piccoli capolavori: anzitutto evita aspetti voyeuristici e pruriginosi trattando sempre l'argomento e le immagini con grande classe ed equilibrio, anche quando fa sfoggio di lingerie e di corpi seminudi femminili avvinghiati, presenta il tema della omosessualità nella sua espressione anche sociale inserendo una inserto narrativo quasi a sè stante quando racconta la breve storia delle due alunne di Flavia, stimola ad una profonda riflessione politica e sociale senza mai piazzare nettamente in primo piano i fatti del 1989 e , soprattutto, dal punto di vista squisitamente tecnico stratifica la narrazione con frequenti flashback anche rapidissimi, con ricorso a tecniche di ripresa diverse, sgranando le immagini, ma conferendo al contempo una linearità alla narrazione lucidissima, avvalendosi inoltre di una bella colonna sonora che seppur quasi onnipresente non infastidisce per nulla e di scorci di Hong Kong e Macao inusuali.
Indubbiamente, quindi, un lavoro notevole da parte di una regista che aveva già entusiasmato col suo esordio, l'ahimè introvabile GeGe (Brother), che dimostra la preziosa dote di sapere scrivere storie che vanno dritte alla sostanza senza perdersi in inutili orpelli.
Da sottolineare la bellissima prova di Josie Ho nei panni di Flavia, che sa reggere benissimo il personaggio tormentato,  dell'allora esordiente Yuan Tian, premiatissima per la sua interpretazione di Yip, e di Eric Kot nei panni del marito di Flavia.


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