La notte del massacro
L'assegnazione del Gran Premio per la regia a Cannes nel 2009 a Kinatay di Brillante Mendoza suscitò polemiche a non finire, essendo critica e pubblico fortemente divisi sul giudizio sul film.
Mendoza è regista senza dubbio anticonvenzionale, provocatorio, sia nelle tematiche affrontate che nelle scelte tecniche strettamente legate alla regia e quindi le controversie immancabili non debbono stupire ed in effetti qualche perplessità il lavoro la lascia, soprattutto riguardo ai poderosi colpi di accetta che il regista compie sulla pellicola: ad una prima parte che porta indelebile il sigillo del regista , sublimato a livelli maestosi nel successivo Lola, segue una lunghissima seconda parte in cui sono il buio pesto e l'angoscia a farla da padroni indiscussi.
La storia parte dalle strade di Manila, sporca , umida, affollata di una umanità che riesce pur nel suo squallore esistenziale ad essere colorata fondendo il sacro col profano, in cui un giovanotto ventenne, fresco sposo e con pargolo sulle spalle si accinge a studiare per diventare poliziotto.
Ancor prima di indossare la divisa, è già preso nella morsa della corruzione e quindi si guadagna qualche soldo con piccoli traffici loschi, fino a quando un suo compare non lo coinvolge in un lavoro che frutterà una bel gruzzolo di denaro.
Inizia a quel punto l'incubo notturno, tutto giocato alla luce di fioche lampade e di fanali delle macchine in cui il giovane assiste, comportandosi da novello scagnozzo di bassa manovalanza, al rapimento e al massacro di una prostituta entrata in rotta di collisione con la malavita.
L'alba riporterà il nostro giovanotto verso casa dove la moglie attende col pargolo in braccio e sembrerà che siano passati secoli.
Se la prima parte è perfettamente nello stile del regista filippino che riesce a catturare l'attenzione anche solo seguendo i protagonisti su un autobus e in tribunale o mostrando un volto genuino di Manila, quando calano le ombre della sera e il racconto diventa dramma ed incubo, qualcosa si inceppa e sempre nella direzione di volere caricare eccessivamente la narrazione con espedienti spesso neppure necessari.
La feroce banda che compie il massacro non possiede la forza ironica e grottesca dei personaggi tarantiniani ( il regista americano ha espresso lodi sperticate per il film) bensì un eccessivo iperrealismo che però poco offre in più (anche se la scena dei pezzi mutilati lanciati dalla macchina può far sorridere); inoltre la scelta cromatica di caricare il buio raggelante e pesto della narrazione con un corrispettivo buio degli ambienti (rigidamente in digitale) appare francamente superfluo, essendo dramma e squallore già sufficientemente a livelli elevati anche se presentati sotto nuvole di luce al neon.
Il percorso di iniziazione del giovane (grottescamente in maglietta della scuola di criminologia durante il massacro) è una discesa agli inferi che Mendoza non ci racconta chiaramente come andrà a finire, lasciando solo intendere ( con la metafora del taxi e dell'autobus nel finale) che la scelta della vita futura del giovane non è ancora segnata definitivamente.
Film quindi per certi versi notevole, bello, doloroso e drammatico, ma un minimo di delusione serpeggia per avere assistito in alcuni tratti ad una sorta di macabro esercizio stilistico.
Di ben diverso spessore sarà la prova successiva di Mendoza, quel Lola che alla luce di questo appare ancora di più un autentico capolavoro.
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