L'uomo e la guerra
L'impressione rimasta nella memoria dopo la visione di questo lavoro di Malick 13 anni orsono era quella di un film dalla regia accuratissima, che viveva di momenti di cinema immenso e di larghi spazi desolati.
Rivederlo ha confermato in ogni tratto quella sensazione.
La pausa di circa venti anni che Malick si prese dopo i suoi primi due splendidi lavori ci ha restituito un regista molto meno istintivo ed essenziale e molto più propenso ad affrontare temi filosofici e religiosi in cui al centro c'è sempre l'uomo e il suo rapporto drammaticamente conflittuale con la natura e con il soprannaturale.
La sottile linea rossa non è un film di guerra, come non lo era Apocalypse now, è un tentativo di mostrare la deflagrazione dell'anima umana di fronte all'evento bellico, che altro non è che il prodotto della costante lotta tra bene e male che alberga nel creato.
La prima parte del film è magnifica, c'è tutta la sincera e stupita ricerca di Malick nel dare una descrizione del processo di relazione tra l'essere umano e Dio attraverso la natura, espressione nobile del creato, sia essa una foresta impenetrabile o un uccello dai colori sgargianti; l'uomo nella sua doppiezza: il buon selvaggio dell' Isola di Guadalcanal che con la natura si integra e vive l'idillio, l'uomo che scatena la guerra che la natura deturpa, sfregia e violenta, attraverso anche le lacerazioni del suo Io più profondo.
La seconda parte è un lungo (troppo) racconto della battaglia che si svolse nella isola del Pacifico, importante base per le forze armate giapponesi: qui Malick cade nel suo primo madornale errore, causa una prolissità che nulla aggiunge alle premesse, semmai toglie, e per ricordarci che non si tratta di film di guerra infarcisce le scene (di cui una , la battaglia finale a colpi di baionette, bellissima a dire il vero, unico momento che regga il passo con la prima parte) con l'opprimente e pomposa voce narrativa (i pensieri dei vari soldati) che a tratti sembra una stanca e vuota litania da chiesa e narra, con esiti ben diversi dal Clint Eastwood del dittico su Iwo Jima, il terrore, l'irrazionalità e la morte dell'animo che la guerra comporta.
La terza parte tenta di dare un senso propriamente narrativo al racconto , ed in parte ci riesce, e cerca di dare compiutezza al suo filosofeggiare e riflettere sulla natura umana, su Dio, sulla natura, sul bene e sul male, riuscendoci anche qui solo in parte.
Quella che va riconosciuta a Malick è una intensa sincerità nell'affrontare temi così vasti e difficili, non si ha mai l'impressione che il regista giochi sporco e imbrogli e l'attenta e maniacale regia è senz'altro da sottolineare; quello che invece pericolosamente si fa strada, e che verrà confermato nel poco riuscito The new world e anche in The tree of life, è l'impressione che il regista abbia il terrore che il pubblico non comprenda quello che racconta; non si spiega altrimenti la fastidiosa prolissità e il continuo ribadire taluni concetti che untiti a certe lungaggini narrative creano momenti che quasi rasentano la noia.
Il film però ha il suo valore, se non altro perchè segna un nuovo corso , ampiamente ribadito in seguito, nella concezione cinematografica di Malick sempre più indirizzato ad esplorare tematiche metafisiche e ad interrogarsi sulla nascita e sulla essenza della vita.
per me sono (almeno) cinque stelle.
RispondiEliminaè vero che forse la parte centrale è leggermente più debole del resto, ma nel complesso è un'opera incredibile
purtroppo però è una debolezza che influisce e non poco; anche alla luce dei due lavori seguenti, da questo film in poi Malick mostra un pericoloso arenarsi continuo durante la narrazione. Per il resto, per carità ha le stigmate del grandissimo film.
RispondiEliminaQuesto è uno dei miei film preferiti in assoluto e sottolineo assoluto :)
RispondiEliminaIndubbiamente ha momenti di Cinema immenso, ma ho trovato i primi due superiori e soprattutto, ma magari è una mia mancanza di sintonia col regista, ho visto qui confermata l'impressione che ebbi allora, e che si ripeterà per i lavori seguenti, di un sovraccarico narrativo in lunghe parti del film.
RispondiEliminaPotrà suonare a dir poco incredibile, ma sto con Cannibale senza riserve!
RispondiEliminaAnche se per The tree of life concordo pienamente con te.
RispondiEliminaMah, anche a distanza di tempo continuo a credere che da questo lavoro Malick abbia dato una sterzata in negativo alla sua filmografia, nel senso che quella eccessiva verbosità che lo contraddistingue da qui in poi e di cui la voce fuori campo è l'esempio più lampante non sia altro che una forma di affermazione delle sue idee che evidentemente è convinto di non trasmettere adeguatamente (cosa tra l'altro non vera).
RispondiEliminaPer carità come tecnica di regia nulla da dire.
Benvenuto James Ford :)