Giudizio: 6.5/10
Pochi mesi dopo Lu Chuan, anche Wuershan presenta la sua trasposizione cinematografica di Ghost Blows out the Light, romanzo fantasy di Zhang Muye del 2006 divenuto in breve un best seller di grandissimo successo in Cina.
Mojin: The Lost Legend è lavoro dalla lussuosa livrea da blackbuster, nel quale il regista, che già apprezzammo in The Butcher, the Chef and the Swordman e in Painted Skin 2 : The Resurrection per la sua eccellente capacità di adattare il fantasy all'action movie mantenendo una apprezzabile originalità, mette ancora una volta al servizio della storia la sua grande ispirazione visiva.
La storia racconta di tre esploratori di tombe , ultimi eredi di un gruppo istituito nell'antichità dagli imperatori dal nome Mojin Xiaowei incaricato di recuperare tesori sepolti da utilizzare in tempi grami; i tre ormai hanno mollato il loro lavoro e vivono a New York vendendo anticaglie e ciarpame nelle strade di Brooklyn.
Hu Bayi e Wang Kaixuan sono amici da tempo, e proprio con un flashback di venti anni prima, negli anni sessanta, li vediamo , innamorati della stessa ragazza e infervorati nell'idealismo maoista finire in una misteriosa caverna utilizzata dai giapponesi durante la guerra; l'atmosfera però è ben più macabra, qualcosa fa intendere che in quei sotterranei si nasconda qualcosa di misterioso e soprannaturale; da quella caverna , dove improvvisamente i morti prendono vita, si salvano solo i due amici, mentre la loro amata Ding Sitian si sacrifica per salvarli.
I due, ai quali si aggiunge Shirley Yang, fidanzata di Hu, vengono assoldati da un faccendiere cinese, su richiesta di un misterioso gruppo americano, per trovare la tomba di una principessa sepolta in Mongolia Interna; il gruppo americano è guidato da una enigmatica sacerdotessa di un culto che cerca il Fiore dell'Equinozio, un monile sepolto nella tomba che ha la capacità di riportare in vita i defunti da utilizzare per prevenire una imminente catastrofe per l'umanità millantata dalla donna.
Dopo varie incertezze e dubbi il Mojin finalmente si riforma ed inizia la ricerca della tomba, facendo assumere alla storia le parvenze quasi di un videogioco, messo in piedi nelle viscere della terra e popolato da strani personaggi, un mondo sotterraneo immenso e intricato.
Quello che conta, nell'evolversi della storia, è che quel luogo , col passare del tempo, assume caratteri famigliari per Hu e Wang: lo stesso sistema di caverne in cui vent'anni prima persero i loro amici e la loro amata.
L'impianto messo in piedi da Wuershan si base principalmente su un buon ritmo, una serie infinita di effetti speciali ed un uso massiccio del CGI e sull'appeal indubbio degli attori protagonisti, tralasciando però in maniera netta l'aspetto narrativo che mostra una certa ripetitività nelle situazioni e anche nelle scene.
Qualche spunto qua e là il regista lo incastona, ma è soltanto un intermezzo all'interno di una costruzione votata all'azione e allo sfarzo scenico che comunque dimostrano il particolare gusto visivo che il regista ci aveva già dimostrato nei suoi lavori precedenti: accenni alle tradizioni e alle superstizioni cinesi, qualche pennellata politica soprattutto da parte dell'infervorato Wang ancora intriso di spirito rivoluzionario (siamo nei primi anni 90 ), la visione sui fantasmi e sugli spiriti tutta cinese, qualche battuta ironica che sembra uscita da Indiana Jones e delle immagini della Mongolia Interna che tolgono il fiato; insomma Mojin è lavoro che si gioca tutte le sue carte sulla spettacolarità e sul coinvolgimento del pubblico, che tra l'altro gli ha decretato un enorme successo al botteghino, in perfetto stile blockbuster.
Se da un lato questo può apparire come un passo indietro nella seppur breve cinematografia del regista, è indubbio che Mojin nel suo genere si fa apprezzare, nonostante i limiti, e conferma comunque le qualità alla regia di Wuershan.
Scegliendo tre attori di grande richiamo il regista ha inteso puntellare il suo lavoro con sicuri ancoraggi: Huang Bo è tra tutti quello che sembra più convincente, mentre Chen Kun e la deliziosa Shu Qi appaiono un po' troppo ingessati nei loro ruoli che comunque svolgono bene; da segnalare inoltre la presenza di quella che fu una delle attrici di punta del cinema cinese degli anni 80, Liu Xiaoqing nel ruolo della sacerdotessa del culto misterioso e di Cherry Ngan, astro ormai definitivamente nato del cinema di Hong Kong, nella parte di una segretaria giapponese del capo sempre pronta a menare le mani, facendo chiaramente il verso alla Gogo di tarantiniana memoria.
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