
Il ritorno di Luca Guadagnino alla regia con Challengers segna un’incursione nel mondo dello sport, ma con l’inequivocabile tocco autoriale che contraddistingue il regista. Presentato come un dramma sportivo e sentimentale, il film si sviluppa tra i campi da tennis e le complessità delle relazioni umane, affrontando temi come l’ambizione, il desiderio e le dinamiche di potere che si instaurano tra i personaggi.
Il film doveva avere la sua premiere a Venezia80 ma la ben nota serrata che ha messo in crisi Hollywood non ha consentito a Guadagnino di presentare il suo film alla rassegna veneziana bensì nella ben meno prestigiosa cornice di Sydney; da lì il film ha raccolto riconoscimenti e premi in ogni angolo risultando tra i lavori più premiati del 2024.
La storia ruota attorno a Tashi Duncan (Zendaya), un’ex promessa del tennis trasformata in allenatrice di successo dopo che un infortunio ha stroncato la sua carriera. Tashi è sposata con Art Donaldson (Mike Faist), un giocatore che si trova in una fase della carriera che sembra aver intrapreso la parabola discendente, dopo aver trionfato in tutti i tornei più importanti del mondo , escluso l’US Open, al quale però ha intenzione di dare un ultimo assalto.
Pensando di poter ridare un po’ di fiducia al marito Tashi lo iscrive ad un torneo minore del circuito Challenger dove incontrerà giocatori con una classifica nel ranking nettamente inferiore alla sua e quindi facilmente battibili. Quando però i due scoprono che iscritto al torneo è anche Partick, un vecchio amico sin dall’adolescenza di Art, oltre che primo fidanzato di Tashi ai tempi degli US Open juniores ormai parecchi anni indietro, ed ora giocatore di basso rango che cerca di sbarcare il lunario coi premi miseri del circuito satellite, la loro relazione è messa duramente alla prova ed il film inizia a svilupparsi attraverso un intreccio di flashback nel passato remoto e in quello prossimo e il presente e a mostrare come il passato influenzi le dinamiche attuali tra i personaggi.
Guadagnino utilizza il tennis come una metafora per esplorare le relazioni umane, facendo del campo da gioco un microcosmo in cui si manifestano tensioni, tradimenti e passioni. Ogni colpo, ogni partita, riflette una dinamica emotiva tra i personaggi, intrecciando il destino professionale e personale in un’unica narrazione.
Tashi incarna la figura dell’ambiziosa stratega che sacrifica tutto – inclusi i sentimenti e le relazioni più intime – per raggiungere il successo, una ambizione che non mostra pietà per nessun cedimento. Guadagnino mostra come l’ambizione possa trasformarsi in un'ossessione capace di plasmare identità e destini, lasciando al contempo cicatrici profonde su chi ne è coinvolto.
Dopo Jackie e Lady D , Pablo Larrain affronta un’altra figura straordinaria del XX secolo : Maria Callas infatti si pone anch’essa nel cerchio ristretto di figure femminili che hanno lasciato una impronta indelebile nel secolo scorso.
Non è dato di sapere se i tre lavori facessero parte di una trilogia così strutturata sin dall’inizio, possiamo però dire con ragionevole certezza che la coerenza con cui affronta queste tre figure è ferrea, soprattutto per la prospettiva che sceglie: niente biopic in senso stretto, bensì uno studio intimo, psicologico , profondo e formalmente elegante su un preciso momento doloroso delle tre protagoniste con l’intento di mostrarle al di fuori del mito che le circonda.
Il film si focalizza su un momento cruciale nella vita di Maria Callas: il periodo che segue il declino della sua voce e il ritiro forzato dalle scene, aggravato dalla fine della relazione con Aristotele Onassis, sola nella sua casa magnifica di Parigi, in compagnia dei fidati domestici Ferruccio ( l’autista tuttofare) e Bruna , in perenne conflitto con i farmaci dai quale riesce ad ottenere una fallace sensazione di benessere e di forza .
Questo segmento della sua esistenza è segnato dalla riflessione personale e dalla difficoltà di accettare il distacco sia dal mondo della lirica sia dalla sua identità di "Divina". Attraverso questa fase, il film esplora il conflitto tra il mito e la donna reale, rivelando le ferite e i rimpianti che hanno segnato Maria Callas, mentre cerca di ridefinire se stessa lontano dai riflettori; una lotta continua , strisciante che si consuma nel profondo dell’artista tra il suo ruolo pubblico ( la Callas , la Divina, come ripete svariate volte nel film) e quello privato (Maria).
Larraín non si limita a ricostruire la cronologia degli eventi, ma utilizza l’opera lirica come specchio della condizione interiore della protagonista. Le arie che Callas interpretava, spesso tragiche e intrise di pathos, diventano nel film un commento alle sue stesse esperienze di amore, perdita e solitudine.
Questo parallelismo è rafforzato da una regia che alterna momenti di grande teatralità ( fra i momenti più belli ed emozionanti della pellicola) a sequenze intime e quasi spoglie, sottolineando il contrasto tra il mito pubblico e la fragilità personale.