lunedì 31 maggio 2010

Il matrimonio di Tuya ( Wang Quan'an , 2007 )

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 Divorzio di convenienza

Gli sterminati spazi aridi e sferzati dal vento della Mongolia cinese fanno da palcoscenico a questa storia nella quale la fierezza della protagonista si scontra con la strisciante urbanizzazione e "civilizzazione" in atto ormai da anni in Cina; così quella che è una storia semplice e legata ad una vicenda personale, diviene un accorato grido a preservare una civiltà , quella nomade, che non accetta di assoggettarsi al progresso sfrenato.
Tuya è ancora giovane e bella, accudisce un marito invalido , due figli, un gregge di pecore, percorre chilometri e chilometri per rifornirsi di acqua e tira avnti da sola la baracca., fino a quando anche la sua salute inizia a minarsi. La soluzione più opportuna, che salverebbe la sua identità e la sua famiglia , sarebbe quella di divorziare dal marito e risposare un uomo che possa aiutarla nella pastorizia, sola fonte di sostentamento in quelle terre desolate e bellissime; unica condizione che pone la donna è quella di poter avere ancora accanto a sè l'amato marito malato.
Una schiera di pretendenti bussa alla porta per chiederla in sposa, ma ben presto Tuya si rende conto che non sarà facile poter rispettare tutti i suoi desideri, cozzando spesso contro un muro fatto di egoismo , figlio della corsa all'arricchimento in atto nel paese.
E così mentre anche il paesaggio mongolo subisce la lenta penetrazione dell'urbanizzazione (strade in asfalto che squarciano gli altopiani, tralicci che si stagliano all'orizzonte) per Tuya non rimane altro che scegliere come sposo il vicno Sen'ge, da sempre innamorato di lei, che seppur sposato e succube della moglie, sembra comunque avere in sè ancora uno straccio di quei valori  tradizionali.
Il finale rovescerà tutto e ci mostrerà Tuya in lacrime, da sola, consapevole del fatto che  fuggire dal suo destino fatto di fatica sarà impossibile.
Il film mostra la sua bellezza nell'omaggio quasi naturalistico ed antropologico che fa il regista (originario di quelle parti) di quella terra così bella e arcigna allo stesso tempo e dei suoi fieri abitanti, orgogliosi e legatissimi alle tradizioni; viceversa Tuya appare come una eroina molto moderna nella sua ideologia, quasi a contrastare la tradizione atavica; il suo percorrere in lungo e in largo in groppa al cammello le sconfinate pianure ce la fa apparire come l'archetipo della matriarca , perno della famiglia e organizzatrice della quotidianeità, desiderosa solo di poter continuare a vivere con dignità il legame con la sua terra e con i suoi affetti.
Lo straordinario palcoscenico naturale da una grossa mano al regista nella costruzione della storia, Wang da parte sua dirige il film con eleganza e rigore, appena accennando il tratto su quella formidabile tavolozza naturale che è la Mongolia. Probabilmente in alcuni passaggi pecca un po' di retorica, ma il film nel suo complesso lascia il segno, lo stesso segno che vento, freddo e sole lasciano sui volti arsi dei protagonisti.

3 commenti:

  1. ricordo che quando l'avevo visto avevo pensato sì alla storia, ai nuovi ricchi che comprano quello che possono, alla dignità dei poveri, a Tuya che deve fare i miracoli per tirare avanti e farsi carico di tutto e tutti.
    e poi a come il cinema ci fa fare il giro del mondo e, spesso, ci fa conoscere meglio l'anima delle persone che muovendosi con valigia, videocamera digitale, euro in tasca.

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  2. Vero quanto dici Ismaele,ed è uno degli aspetti migliore del film; soprattutto quando raccontata con intelligenza, una storia può avere questa funzione cognitiva.

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  3. Non sono d'accordo con la vostra valutazione: ho trovato il film noioso , e parecchio, dotato solo di un impatto visivo iconografico che colpisce, ma sotto sotto mi sembra proprio debole.

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