Giudizio: 5/10
La lunga pausa di Wim Wenders nel campo dei lungometraggi che è durata otto anni dal ben poco convincente Palermo Shooting termina nel 2015 con il nuovo lavoro che ha visto la luce al Festival di Berlino del 2015.
Nel frattempo il regista tedesco aveva mostrato un deciso ritorno al documentario, che tanta parte aveva avuto nella sua produzione negli anni 80 e 90 , con due lavori come Pina e Il Sale della terra che avevano ben impressionato pubblico e critica.
Ritorno alla vita è però lavoro che lascia anch'esso abbondantemente delusi sia come valore complessivo dell'opera sia come segnale che , almeno nei lungometraggi, Wenders sembra aver perso, e da molto ormai, quello che era il suo monolitico stile narrativo.
La storia che racconta è nel complesso ovvia e con poca profondità, parandosi dietro una seria di paradigmi scontati: Tomas uno scrittore in crisi di ispirazione, da cui ovviamente deriva anche la crisi relazionale , con la fidanzata anzitutto, in un incidente stradale uccide un ragazzino lungo le strade innevate del profondo nord canadese; all'incidente sopravvive il fratello più grande del ragazzino che andrà incontro ad una vita straziata dal senso di colpa; lo stesso Tomas subirà lo choc dell'evento combattutto tra il senso di colpa, il bisogno del perdono e l'incrollabile egoismo che sembra far parte del dna degli scrittori, come da classico copione ormai consolidato.
Nei dodici anni successivi seguiamo il percorso dell'uomo fino al successo, la crisi personale che lo porterà sull'orlo del suicidio prima e alla rottura con la sua fidanzata e ad una nuova relazione poi, ma soprattutto il rapporto che si basa sul comune senso di colpa con la madre del ragazzino morto e in special modo con il sopravvissuto all'incidente.
Che Wenders vada considerato a prescindere un maestro del cinema, se non altro honoris causae, è fuori di dubbio, il suo passato parla chiaro in tal senso; è altrettanto vero però che film come Ritorno alla vita mostrano una decisa caduta dell'ispirazione, sia delle tematiche che delle forme di espressione narrative; la mano del grande regista si vede ancora, in tutti quelli che sono gli aspetti tecnici: belle scene, bei paesaggi, fotografia raffinata, movimenti di macchina ben dosati, ma tutto ciò non fa altro che acuire il disagio di fronte ad un film che sembra non avere nulla da dire se non una serie di ovvietà e di clichè.
La tematiche del rapporto arte-vita personale è veicolato attraverso la figura del protagonista, tormentato sin dall'inizio, egoista, freddo e razionale che non vede altro che la sua sfera di ispirazione nel proprio mondo dove c'è spazio per poco altro, al punto che , sottilmente, si insinua il sospetto che possa avere utilizzato la dolorosa esperienza personale a fine utilitaristici per i suoi romanzi.
Anche il tema del perdono e della colpa, sostenuto dallo strano rapporto con la madre del ragazzino morto prima e con il fratello dopo, è francamente poco convincente, piatto e privo di qualsiasi interesse.
Insomma Wenders sembra essere uno di quei registi che svolgono il loro compitino senza lode e senza infamia dando vita ad un film privo di slancio; chiaro che gli anni 70 e 80, quelli in cui il regista tedesco, insieme a pochi altri, cambiò il concetto di cinema con la sua forza rivoluzionaria da vero antesignano, sono lontani, ma perchè approdare a simili risultati che sono quelli che ti aspetti da un onesto lavoratore privo di talento in una vita dietro la macchina da presa?
Poche cose funzionano in Ritorno alla vita e tra queste anche la scelta del cast: James Franco mostra una faccia tra l'inespressivo e l'inebetito per tutti i dodici anni della storia, sempre uguale a se stesso, sia esso uno scrittore alle prime armi che uno di successo; Rachel McAdams è totalmente fuori ruolo al punto di sembrare capitata lì per caso e Jane Birkin, colpa probabilmente di una sceneggiatura che rende il suo personaggio quasi ridicolo, è più il tempo che disegna con lo sguardo perso nel vuoto che quello in cui possa mostrare le sue indubbie doti.
Il rispetto e la venerazione che Wim Wendrs merita tra coloro che amano il Cinema, fa sì che un suo lavoro sarà sempre meritevole di visione: speriamo solo che anche all'età ormai di 70 anni il regista sappia un giorno donarci qualche sprazzo della sua verve rivoluzionaria di cui il mondo del cinema gli è debitore.
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