Giudizio: 7.5/10
Se è vero che la cinematografia cinese, soprattutto negli ultimi due anni, ha privilegiato le grandi produzioni, i blockbuster, le coproduzioni faraoniche che hanno permesso al mercato cinese di raggiungere ormai i livelli di quello americano e indiano, è altrettanto vero che , seppur stritolati dai lavori mainstream e ad alto budget, i cineasti indipendenti hanno trovato comunque il modo di mantenere una qualità elevata delle proprie opere, anche grazie al decisivo apporto di produzioni europee (francesi in primis) o al patrocinio di Festival , quale quello di Busan , ad esempio, che offre un importante appoggio a questo Silent Mist, quarto lavoro di Zhang Miaoyan.
Presentato proprio al Festival che si svolge nella città coreana, il lavoro di Zhang è una affascinante e al contempo dura disamina della società cinese contemporanea, uscita profondamente trasformata dal passaggio tra collettivismo e sfrenato individualismo.
Zhang decide di raccontare un brandello di storia della Cina rurale di provincia, attraverso un racconto che si tinge di thriller, all'interno del quale però sono insite tenacemente tematiche sociali e politiche.
Lo sguardo del cineasta cinese è alquanto originale grazie ad una serie di scelte tecniche e narrative molto personali che conferiscono all'opera una impronta senz'altro autoriale tutt'altro che fine a se stessa.
Già la lunga scena iniziale introduttiva è un piccolo saggio di cinema: dapprima un piano sequenza da una barca che percorre il fiume su cui si adagia la cittadina, poi un altro lunghissimo piano sequenza in cui la macchina da presa segue da presso dapprima un uomo con uno strano mantello, poi una giovane donna, quindi due studentesse lungo i porticati che fiancheggiano il fiume tra banchi che espongono svariate specialità culinarie.
Una introduzione che anche grazie alla fioca luce che illumina la scena e alla leggera nebbia che sale dal fiume ci porta nel centro della storia, ispirata a fatti realmente accaduti e incentrata su una serie di aggressioni a sfondo sessuale subita da alcune giovani donne.
Nottetempo lo stupratore seriale compie il suo gesto esecrabile in una città che sembra avvolta da una nebbia che non è solo quella del fiume , ma soprattutto quella che circonda la popolazione che con la sua acida omertà e acrimonia offre riparo alle gesta dello stupratore.
Una serie di personaggi caratteristici di una Cina provinciale, ancora arretrata ma attratta dalla ricchezza si aggirano sullo schermo: un faccendiere spregevole che si occupa di acquistare le vecchie case e favorire lo smembramento delle antiche abitazioni tipiche cinesi, un pervertito guardone che striscia sui muri annusando indumenti intimi femminili, e soprattutto le vittime degli stupri che lungi dall'essere protette e comprese dai paesani, sono derise e additate con vergogna, travolte dal dolore.
Le tematiche che Zhang affronta non sono solo quelle della trasformazione della società cinese in preda alla corsa al materialismo e dello stravolgimento dell'arredo urbano; il regista cinese si sofferma anche su quello che è il concetto esasperato dell'individualismo che sconfina nel bieco egoismo come un pericoloso fenomeno di rimbalzo per una società cresciuta e consolidatisi nel collettivismo che tendeva a sotterrare l'individuo e le sue peculiarità.
Se dal punto di vista strettamente narrativo Silent Mista presenta più di qualche difetto, dal punto di vista tecnico e della regia il lavoro di Zhang è veramente degno di nota: al di là della lunga introduzione di cui si è parlato, il regista opta spesso per i piani sequenza dilatati nel tempo, gioca con le prospettive che la struttura urbana regala alla macchina da presa, crea un impasto di colori e di luci ed ombre che conferiscono alla pellicola una ambientazione bellissima, passando da scene buie ad altre in cui i contrasti cromatici abbagliano alternandosi con scene in cui la desaturazione dei colori porta ad un risultato quasi "seppiato".
Il film che porta con sè la forte denuncia della deriva della società cinese contemporanea anche grazie a qualche metafora sparsa qui e lì, trova però nella personale regia e nell'incedere del racconto il vero punto di forza, dimostrando la bravura di Zhang Miaoyan e il suo personalissimo sguardo, ora poetico ora duro e spietato.
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