Giudizio: 7.5/10
Ben quattordici anni sono passati dall'esordio alla regia di Lee Soo-youn con l'inquietante The Uninvited, e nonostante il lungo lasso di tempo trascorso lo smalto della regista coreana non si è minimamente offuscato: non è infatti difficile riconoscere la stessa mano in Bluebeard, thriller noir dai contorni sfumati che riesce a miscelare con cura anche le sfumature horror e lo psyco-thriller.
La storia gira intorno ad un medico che vive in una piccola città rurale ai margini della grande Seoul da dove si è trasferito a causa di un divorzio che ancora pesa sulle sue spalle e sulla sua tranquillità psichica; durante un esame endoscopico eseguito in una clinica, Seung-hoon, il protagonista, carpisce alcune frasi pronunciate nel dormiveglia dal vecchio nonno del macellaio che ha casa e bottega nel suo stesso palazzo; le parole dell'uomo sembrano riferirsi a tecniche di smembramento umano ma sul momento, considerato l'età e la situazione del vecchio, il medico gli dà poca importanza.
Il disgelo anticipato del fiume però porta alla luce pezzi di membra umane per cui Seung-hoon , quasi suo malgrado, si ritrova a rivalutare quei brandelli di parole carpite qualche giorno prima.
La famiglia dei macellai, in effetti, ha connotati inquietanti, così come la bottega nella quale operano; per Seung-hoon inizia una inesorabile azione di coinvolgimento, nella quale crudeltà umana e omicidio, follia e abissi della psiche diventano i connotati dominanti, in quello che sembrerà in seguito un classico caso da serial killer.
Costruito come una serie di scatole cinesi all'interno delle quali sembra giacere una verità, sospinto dal disturbo ossessivo e dalla follia crudele ,Bluebeard diventa lentamente e inesorabilmente un thriller feroce, dalle forti tinte psicologiche, nel quale la regista Lee Soo-youn fa un massiccio ricorso all'uso delle prospettive incrociate, punti di vista che sembrano finalmente quelli giusti salvo poi essere ribaltati senza appello.
Questo incedere della pellicola, tra indizi falsi e inganni narrativi conduce ad una tensione che cresce col procedere del racconto, nello stesso modo in cui il protagonista si trova impantanato in una trappola senza via d'uscita che porta in superficie il suo non certo stabile status psicologico e mentale.
Se Bluebeard trova in questa scelta strutturale il suo aspetto più valido e convincente, la scelta delle atmosfere ( l'impressione è quella di trovarsi di fronte ad una storia destinata ad esplodere in ogni momento) e delle ambientazioni sono validi tasselli che sostengono ulteriormente il film: la provincia coreana carica di odio e impregnata di malsano è uno dei temi che maggiormente ritroviamo in molte delle storie che si svolgono lontano dalla grande metropoli, e il lavoro di Lee ne è un esempio luminoso.
Se a ciò aggiungiamo il disagio che provoca una discesa agli inferi della psiche umana e una scelta di ripresa che tale disagio accentua presentando uno squallore non solo esteriore, ecco che Bluebeard assume le tinte da classico thriller-noir sporco e cattivo.
Cho Jin-woong, volto tra i più noti del cinema coreano, nei panni del protagonista regala una prova nella quale riesce a miscelare bene i vari aspetti interiori del suo personaggio, così come Kim Dae-myung è più che convincente nel ruolo dell'inquietante macellaio.
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