Giudizio: 7/10
Ispirato alla figura di Murayama Satoshi, campione di shogi morto all'età di 29 anni, Satoshi: A Move for Tomorrow è un lavoro che trova proprio nella sua ambientazione incentrata su uno dei giochi più antichi del Giappone, una sorta di scacchi che fa assurgere i giocatori professionisti a livelli di star nazionali, e sul racconto della figura di questo bizzarro personaggio un valido doppio binario intorno al quale la vicenda si svolge.
Personaggio a dir poco eccentrico, fuori le righe, dotato però di quella genialità pazzoide tipica dei soggetti talentuosi, Murayama sfidò non solo i più grandi campioni, ma anche se stesso e il suo destino segnato da una gravissima malattia contratta da giovane che lo portò a morte in seguito anche alla comparsa di un tumore alla vescica che lui , fieramente e sdegnosamente si rifiutò sempre di curare per non interferire col suo modo di giocare.
La sua sfida è stata col mondo dello shogi per scalarne le posizioni, con i suoi avversari, con un certo conformismo, ma soprattutto con se stesso per dimostrare che la sua tecnica di gioco e la sua bizzarria potevano trionfare in un ambiente così competitivo.
Quello che nel racconto sembra puro autolesionismo è invece la sfida delle sfide: dimostrare di poter determinare il propio destino grazie al suo smisurato talento nel gioco.
Cresciuto in provincia sotto la guida di un paterno maestro che ben presto intuì che il suo talento era di gran lunga superiore a quello di chiunque altro, Murayama si trasferì a Tokyo per poter dare la scalata definitiva ai vertici dello shogi: qui nonostante la sua scontrosità, il suo essere rissoso e trasandato, spesso addirittura sbandato, eccessivo in tutto ciò che faceva, riesce comunque a conquistare l'ambiente del gioco professionistico; il suo talento, che si esplicava in geniali atteggiamenti tattici durante le partite, insomma, cancellava tutto quanto di poco gradevole c'era in lui, compreso il suo aspetto da obeso trasandato e non incline a piegarsi alle convenzioni sociali.
Anche la sfida infinita con il suo avversario di sempre, Habu, è il refrain del film che sta a dimostrare come l'ambizione a primeggiare fosse il vero motore dell'esistenza di Murayama, alimentato solo dal talento e dalla folle genialità che tutti gli riconoscevano.
Lungi dall'essere un esercizio agiografico ne tanto meno freddamente biografico, Satoshi è lavoro che vive sul rumore dei pezzi dello shogi, sui silenzi, sugli sguardi che cercano di scrutare l'anima e sulla disgraziata esistenza di un giovane , indubbiamente geniale, ma altrettanto certamente problematico.
Trovare dei significati nascosti nel racconto che costruisce il regista Mori Yoshitaka sarebbe esercizio sterile, Satoshi sembra più un lavoro di esplorazione e di analisi di una personalità affascinante e dotata di enormi poteri ma , al contempo, anche di una fragilità estrema che concorrono insieme a creare la complessità del protagonista verso il quale , nonostante tutto, si prova simpatia crescente e, ad un certo punto, addirittura tenerezza.
Se Mori ha costruito un buon film equilibrato e senza eccessi, forse solo un po' ripetitivo in certi frangenti, è chiaro che la prova stupefacente di Matsuyama Kenichi, ingrassato di oltre 20 chili per l'occasione, è da sola motivo più che valido per vedere il film; non solo la deformazione che ha subito dall'essere ingrassato, ma anche la profondità che riesce a dare al suo personaggio, fanno di Matsuyama il vero mattatore del film.
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