Giudizio: 7.5/10
Sin dalla prima scena After My Death pone le basi per un film in cui il mistero si insinua sottilmente: una studentessa torna a scuola dopo tanto tempo , l’insegnante la presenta ai suoi compagni e la ragazza invece di sedersi al suo posto pronuncia qualche breve frase utilizzando la lingua dei segni, ovviamente non sottotitolata, lasciando così un alone di mistero che solo verso il finale verrà svelato.
La ragazza è Younghee, studentessa dell’ultimo anno di liceo, l’ultima ad avere visto viva Kyungmin, una sua compagna di classe scomparsa che si teme essersi suicidata; Younghee viene anche apertamente accusata di non aver fatto nulla, se non avere addirittura istigato l’amica, a commettere il suicidio, motivo per il quale la mamma dell’amica scomparsa la marca da vicino sperando di ottenere qualche informazione e le compagne di scuola arrivano addirittura a commettere atti di vero e proprio bullismo contro di lei, che d’altronde si dichiara sempre innocente pur lasciando intendere di sapere qualcosa di più sull’amica scomparsa e soprattutto non fa nulla per nascondere un legame con lei che va anche oltre l’amicizia.
Quando Kyungmin viene ritrovata morta, confermando l’ipotesi del suicidio, il cima di avversione intorno a Younghee diventa ancora più pesante contribuendo alla drammatica evoluzione della storia.
Se la prima parte è strutturata sui ben conosciuti binari del thriller in ambiente scolastico che va a scavare nei tormenti e nelle incertezze giovanili, oltre che sul drammatico problema dei suicidi giovanili di cui la Corea del Sud è tra le nazioni che detengono il triste primato, la seconda parte lascia da parte quanto visto fino ad allora e si focalizza invece sul dramma personale di Younghee, la depositaria della scelta finale dell’amica; ed è proprio il peso di questa situazione che la ragazza cerca quasi di trasferire alla madre dell’amica che tenacemente continua ad incalzarla sperando di avere una risposta al gesto della figlia: ricevere la confidenza di volere suicidarsi è un po’ come essere partecipi della morte di qualcuno.
Per tale motivo considerare After My Death uno dei tanti lavori ambientati in ambiente scolastico in cui si fondono problematiche giovanili e thriller spesso soprannaturale è un errore concettuale, perché se è vero che la storia che il regista Kim Uiseok porta in primo piano, nelle sue dinamiche più sottili è l’ambiente scolastico, il vero tema centrale del film è il legame tra suicidio e senso di colpa e l’insostenibile sensazione di conoscere le intenzioni suicide perché confessate e l’impossibilità ad evitare il gesto.
Il film ha il suo sottofondo di tensione che cresce e che ne fa indubbiamente un thriller , ma ci sono anche l’attenta descrizione dei personaggi e le loro dinamiche dettate dal disagio e dalla situazione drammatica che si trovano ad affrontare, la riflessione sulla colpa e sull’innocenza, la responsabilità e la vergogna; la regia di Kim ( che ricordiamolo ha fatto parte del cast tecnico alla regia di The Wailing) tende ad accentuare gli aspetti da thriller e spesso le immagini contribuiscono a creare il clima di doloroso mistero che regna nella storia.
After My Death, ove si escludano alcuni momenti in cui mostra qualche incertezza, soprattutto nella seconda parte, è lavoro dl buon livello, altro esempio di cinema indipendente che in Corea negli ultimi tempi ha regalato pellicole interessanti.
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