Giudizio: 6/10
El Royale un tempo è stato un grande e glorioso hotel , frequentato da gente che conta; ora, siamo sul finire degli anni 60, è in piena decadenza quasi sempre privo di ospiti, adagiato esattamente sul confine tra Nevada e California, al punto che l'ospite può scegliere se alloggiare in uno o nell'altro stato cui corrisponde uno stile diverso delle camere dell'albergo.
Di fronte al al receptionist tormentato dai fantasmi del suo recente passato in Vietnam si ritrovano appunto altri sei personaggi: un commesso viaggiatore, una cantante soul di colore, un anziano prete, due giovani hippie e un aspirante santone figlio dei fiori a capo di una setta; ognuno di loro è qualcosa di diverso da quello che appare all'inizio e che col passare del tempo verrà svelato in maniera più o meno repentina.
Anche l'albergo però ha qualcosa da nascondere: bottini di rapine andate a male anni prima, strani incontri che vedono coinvolti personaggi importanti e persino una galleria sotterranea sulla quale si affacciano come finestre attraverso un vetro di quelli utilizzati nei locali di polizia che nascondono chi guarda dietro uno specchio, le stanze delle due ali dell'albergo.
Le premesse per rimettere in atto le situazioni che furono il successo del precedente film di Goddard Quella Casa nel Bosco, ci sono tutte, spazi limitati, persone costrette per un motivo o per un altro a convivere in quegli spazi, e l'inizio del film è anche ben costruito in attesa della gragnola di sorprese e colpi di scena che si abbatterà sulla storia di certo, però poi la pellicola comincia ben presto a mostrare dei difetti anche importanti.
Anzitutto il richiamo e l'ispirazione chiara al cinema di Quentin Tarantino, vuoi per la suddivisione del racconto in capitoli, vuoi per il chiarissimo riferimento a The Hateful Eight verso il quale , inevitabilmente, paga un debito incolmabile.
Le storie dei vari personaggi che all'inizio fungono da buon traino per la storia spesso finiscono per disperdersi in situazioni cariche di falsità o ovvie, alcune delle quali francamente stantie ( il rimando al Vietnam ad esempio); inoltre alcuni personaggi appaiono pericolosamente sopra le righe ( il santone belloccio) al punto di far naufragare anche lo spessore del personaggio; inoltre la lunghezza eccessiva ( due ore e mezza) trascina con sè una certa quota di noia, sottolineata da un frequente ricorso piuttosto martellante alle musiche dell'epoca , motivo per cui il climax finale perde buona parte della sua carica di tensione.
Inoltre il vago e un po' omertoso riferimento a qualche scandalo dell'epoca relativo a personaggi politici ( come non pensare a Kennedy?) unito a quello relativo ai sussulti del 68 e della cultura hippie appaiono pretestuosi e anche un po' pretenziosi.
Insomma 7 sconosciuti a El Royale , pur partendo bene, disperde progressivamente una parte non indifferente di qualità , mostrando come ripetere una situazione narrativa e cinematografica in circostanze diverse come ha fatto Goddard, non sempre è sinonimo di riuscita, ed è un peccato perchè la storia nel suo complesso aveva di certo potenzialità superiori.
Il cast si è dimostrato all'altezza: Jeff Bridges ha l'habitus e la voce del prete in declino, Cynthia Erivo svolge bene il suo ruolo di cantante che ha riposto molte ambizioni e Dakota Johnson è convincente nel suo ruolo da hippie in fuga con la pistola facile.
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