Giudizio: 7.5/10
Mentre il vecchio genitore sta morendo, i quattro figli, tre maschi ed una femmina, insieme alle rispettive famiglie, si riuniscono nella casa paterna per ricevere notizie sugli ultimi voleri del moribondo alla presenza di un notaio.
La cospicua eredità viene divisa in parti diseguali privilegiando il figlio maggiore con anche una quota da consegnare come donazione alla chiesa.
La scelta paterna non viene ben accettata da tutti, diventando la miccia di una situazione di tensione strisciante tra i componenti della famiglia.
Mentre i figli discutono sulla diseguale spartizione decisa dal padre, giunge una telefonata in cui un misterioso rapitore chiede due milioni ( guarda caso l’ammontare della eredità) di riscatto per liberare il figlio del fratello più grande.
Da qui prende il via un racconto che miscela dramma e sarcasmo ( la scena del notaio che chiede la sua parte come onorario mentre la famiglia sta decidendo se usare i soldi per pagare il riscatto è addirittura esilarante), critica sociale e studio psicologico , fino a giungere al più classico dei colpi di scena.
Strutturato per larga parte come il più tipico dramma-thriller da camera con finale action, Don’t Go Too Far è il solido esordio del regista coreano Park Hyunyong, un film che pur partendo da una situazione che non presenta certamente connotati di grandissima originalità, riesce ad essere intelligente soprattutto nel modo di trattare alcune tematiche.
Costruito su quattro atti, proprio come una piece teatrale, il film , come detto, si consuma per larga parte tra le quattro mura della casa paterna dove si ritrovano i figli per ascoltare il testamento; la suddivisione che privilegia il figlio maggiore prima , il colpo di scena della telefonata del rapitore poi, la richiesta del padre del rapito di poter utilizzare l’eredità per pagare il riscatto, i vari colpi a sorpresa, piccoli e grandi ,che si susseguono nei poco più di 70 minuti del film contribuiscono a portare a galla un clima di avversione reciproca e di meschinità tra i vari componenti della famiglia, motivo per cui Don’t Go Too Far diventa ben presto non solo un thriller ma anche e soprattutto uno spaccato antropologico che mette a nudo le bassezze umane in generale e quelle più tipiche di una società per certi versi iper tradizionalista come quella coreana.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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