Giudizio: 8/10
Clean Up è il notevole lavoro d'esordio alla regia del coreano Kwon Manki, che al Festival di Busan ha ricevuto il premio come miglior film tra le opere prime.
Il film dai forti connotati psicodrammatici ha come protagonista Jungju, una donna ultratrentenne che lavora in una azienda di pulizie e con una situazione personale problematica: fuma come una ciminiera, beve, vive nel dolore per la morte avvenuta alcuni anni prima del figlio piccolo per una malattia cardiaca, frequenta la chiesa cattolica e non manca mai di pregare per espiare le sue colpe, schiacciata dal rimorso.
Quando al suo gruppo di lavoro viene aggregato Mingu, un giovane ventenne appena uscito di galera, in cerca di riscatto personale, Jungju è convinta che quel ragazzo sia quello che tredici anni prima avevano rapito, lei e il marito, per chiedere un riscatto. Il passato che torna col suo carico di colpa e di pena da espiare dapprima tiene lontana la donna dal nuovo arrivato, ma poi, inevitabilmente, troppo forte diventa la volontà di capire come vive il ragazzo, al quale tutti hanno voltato le spalle costringendolo a vivere per strada e dormire in un gabinetto pubblico.
Jungji si avvicina quindi al giovane fino ad offrirle ospitalità in casa, mostrando delle attenzioni che celano da un lato il forte rimorso per quanto avvenuto anni prima e per le conseguenze che viene a sapere da Mingu del suo gesto, dall'altra c'è un misto di istinto materno castrato dalla morte del figlio e quindi non espresso e una attrazione tipica che si verifica tra anime solitarie in pena quando la vita sembra aver voltato le spalle.
Naturalmente per la donna non sarà possibile nascondere ad oltranza la verità con le ovvie conseguenze, ma il finale , seppur tutt'altro che pacificatorio, dimostra che forse una vita d'uscita per entrambi esiste.
La innata bravura dei registi coreani nel trattare tematiche cariche di drammaticità unita alla peculiarità dello stile di Kwon Manki fanno di Clean Up un lavoro molto intenso, che suscita emozioni forti e che trova il suo punto più alto nel progressivo e fatale confronto tra i due protagonisti: da un lato Jungji, dapprima preoccupata ed impaurita dalla comparsa del giovane che potrebbe ricordare qualcosa del rapimento, che vede lentamente ricostruirsi davanti a lei il passato col suo carico di dolore ma che al tempo stesso intuisce che la situazione potrebbe essere una occasione per espiare le sue colpe con gli atti e non solo con le preghiere, una via d'uscita insomma dal baratro nel quale si trova imprigionata, un "pulizia" , come potrebbe lasciare intendere il titolo, della propria coscienza di persona autrice di un tale gesto di violenza; dall'altro Mingu che cerca una riscossa, una rinascita attraverso il lavoro e poi attraverso la frequentazione di Jungji, una maniera per mettersi alle spalle un passato personale e famigliare carico di dolore.
Il confronto tra i due non potrà che giungere alle estreme conseguenze, violento, perchè la salvezza dell'una sembra essere un ritorno nel baratro per l'altro.
Clean Up non è solo una storia sul rapporto tra vittima e carnefice proiettato nel tempo, è anche e soprattutto un pregevole racconto sostenuto da una regia sorprendentemente solida per un esordiente, sulla colpa e l'espiazione , il riscatto e la rinascita che debbono trovare un comune punto di incontro.
Bravissima nei suoi silenzi e negli sguardi sfuggenti Yoon Jihye, capace di interpretare il personaggio di Jungji col giusto carico di drammaticità; bravo anche l'esordiente Kim Daegun nel ruolo di Mingu.
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