Giudizio: 5/10
Premiato all'ultimo Sundance Film Festival come migliore sceneggiatura , Nancy è l'opera prima della regista Christina Choe che sin dal suo lavoro d'esordio dimostra chiaramente la sua appartenenza a quel cinema indipendente americano dai connotati ben riconoscibili e dei quali parleremo in seguito.
Ambientato in una squallida città di provincia americana, il racconto ha al suo centro la trentacinquenne Nancy, che vive con la madre abbrutita dal morbo di Parkinson e da una vita ben poco ricca di soddisfazioni.
Nancy sembra più una adolescente sfiorita in fretta, aspirante scrittrice che nessun editore però ha intenzione di lanciare; il suo aspetto esteriore lascia trasparire un vita interiore grigia che ben si adatta all'ambiente; ha un lavoro part time e passa, come ogni adolescente appunto, la gran parte del tempo attaccata allo smartphone attraverso il quale si è costruita una vita immaginaria fatta di menzogne per poter sembrare una persona che valga la pena conoscere.
Casualmente ascolta un servizio sulla televisione in cui si parla di una ragazzina rapita 25 anni prima nel quale i genitori, ancora legati ad una tenue speranza, lanciano un messaggio per ricordare l'accaduto.
Nancy si convince di esser lei quella ragazzina, anche perchè ha sempre nutrito dubbi sulla reale identità della madre, inoltre l'immagina elaborata che mostra come dovrebbe essere la ragazzina oggi a 35 anni in effetti presenta più di una somiglianza con Nancy.
Per tale motivo decide di mettersi in contatto con la coppia di genitori, persone che vivono in un ambiente sociale ben diverso dal suo, per capire se lei è veramente la figlia rapita 25 anni prima.
In cosa Nancy e la sua autrice sono intimamente legati alla filosofia che plasma certo cinema indipendente americano? Anzitutto nella collocazione sociale e personale della protagonista: famiglia disgregata, stato sociale da proletariato suburbano, una figura (quella di Nancy) che sembra fatta apposta per coagulare su di sè dubbi e meschinità ma che in effetti sembra cercare qualcosa che la triste e dura realtà personale, anche legata al sociale, impedisce; la contrapposizione, seppur dai toni sfumati tra losers (Nancy) e persone realizzate ( la coppia di genitori), il dubbio che la speranza di Nancy non sia altro che un'altro dei suoi loschi giochini stavolta non solo per creare un alter ego credibile, ma anche per sistemarsi, ingenerando così in chi guarda un sorta di ritrosia verso la sfortunata protagonista.
La cosa che però più infastidisce è la tenacia dell'autrice a voler proseguire sulla sua strada, nonostante i numerosi inciampi che il racconto presenta sotto forma di vere e proprie assurdità che se rimosse rischierebbero però di far crollare tutto il castello.
Se le tematiche si fossero limitate maggiormente ad un livello più intimo, raccontandoci di una persona alla ricerca della propria identità e della propria accettazione nel mondo, Nancy avrebbe senz'altro avuto un livello qualitativo superiore, non a caso i momenti migliori del film sono quelli conclusivi con il volto della protagonista alla guida della macchina percorso da un accenno di sorriso che spiega molto più dei numerosi orpelli con cui la regista ha voluto decorare il suo lavoro.
Nancy può quindi definirsi come la più classica delle occasioni perse a causa di una fin troppo rigida fedeltà formale ad uno stile e ad un genere che comunque riscuote grande successo visto che almeno una buona parte della critica ha riservato al film elogi e giudizi eccellenti.
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