Giudizio: 7/10
Spalmata sull'arco di 11 anni la saga in quattro capitoli incentrata sulla figura del leggendario maestro Ip Man giunge al termine: il regista Wilson Yip, l'indiscusso architetto dell'epopea cinematografica, con Ip Man 4 : The Finale affronta infatti l'ultimo capitolo temporale della vita dell'inventore del Wing Chun, ormai ineluttabilmente legato alla figura di Donnie Yen che lo interpreta in tutti i capitoli.
Nel Cinema come sappiamo è sempre tutto possibile, ma ,spin off esclusi, non c'è proprio spazio per un rigurgito narrativo e l'ultimo lavoro di Wilson Yip lo lascia ad intendere chiaramente , soprattutto nella forma e nei contenuti del racconto.
Il maestro Ip è ormai avviato alla vecchiaia, gli viene diagnosticato un tumore che gli lascia ben poche speranze di vita, e come non bastasse, dopo avere patito i rimorsi per la morte della moglie , si trova a dover affrontare il difficile rapporto col figlio Ching deciso a volere seguire le orme del padre nel mondo della arti marziali nonostante il parere negativo di Ip Man che immagina per lui una vita istruita.
Per tale motivo vola a San Francisco per cercare una scuola per il ragazzo e in quell'occasione incontra il suo allievo Bruce Lee che ha messo in piedi una scuola di Wing Chun e ha iniziato ad insegnare le arti marziali ai bianchi, scatenando le ire della comunità marziale cinese del posto.
Tra i maestri che più avversano la decisione di Bruce Lee , e che quasi per una forma di osmosi, rigettano il loro disappunto sul suo maestro, c'è il maestro di Tai Chi Wan, importante esponente della comunità cinese attraverso le cui raccomandazioni passano i destini di tutti i cinesi che giungono in città.
Nel soggiorno a San Francisco Ip Man avrà modo di toccare con mano l'odioso e becero pregiudizio razziale degli yankees verso i cinesi che si manifesta sia nelle forze armate veicolato dal personaggio di Hartman Wu, un sottufficiale dell'esercito che cerca di introdurre il Kung Fu tra le discipline dell'esercito, sia nel mondo giovanile attraverso la figura della figlia di Wan reginetta delle ragazze pon pon, invisa ai bianchi e bullizzata.
Naturalmente non mancano i momenti di azione, l'epiche sfide coi cattivi di turno che accompagnano il crepuscolo di Ip Man fino alla sua morte.
Nei titoli di coda un nostalgico richiamo a tutta la tetralogia che infonde qualche brivido di emozione.
Rimanendo coerente con lo stile complessivo e col tenore del racconto Wilson Yip affronta sì in quest'ultimo segmento il tema dell'integrazione, del razzismo e dei canoni ideologici delle arti marziali, ma rispetto ai tre precedenti sembra focalizzarsi maggiormente sulla figura di Ip Man, risultandone un racconto decisamente più intimo dalle tinte crepuscolari; il settantenne maestro, minato nel fisico, oppresso dal senso di fallimento come marito e come padre, assume forse per la prima volta dei contorni di grande umanità vissuta con dolore.
Ovviamente questa scelta non comporta il passaggio in secondo piano dei momenti più action: sotto la direzione di Yuen Woo Ping, come sempre molto misurata dal punto di vista tecnico, i combattimenti sono sempre momenti di grande appeal nei quali Donnie Yen mostra ancora la sua invidiabile forme, opposto stavolta ad un odioso Scott Adkins, il paradigmatico sergente dell'esercito americano così simile a tanti altri rozzi e buzzurri militari del cinema stelle e strisce.
Ip Man 4 insomma vuole chiudere l'epopea con il consolidarsi del mito, anche grazie alla figura di Bruce Lee che effettivamente dal punto di vista puramente narrativo aggiunge poco se non quel tocco di nostalgia e di ammirazione nel ricordo di uno dei personaggi più popolari al mondo e vuole ,ancora una volta, in maniera forse sciovinista e ipernazionalista, raccontare di una cultura e di una civiltà millenaria mai veramente compresa nel mondo occidentale; per farlo Wilson Yip ricorre come ha sempre fatto nella saga ad una carrellata di cattivi degni delle peggior canaglie del cinema , persino eccessivi , quasi macchiettistici, ma il tutto va visto come una sorta di simbolismo astratto con il quale impersonificare il male.
Per molti aspetti questo quarto capitolo risulta quello narrativamente più interessante, proprio perchè tende a concentrarsi sulla figura di Ip nella prospettiva più umana, anche se dal punto di vista tecnico pecca un po' di quella genialità che Sammo Hung aveva introdotto in qualità di action director in Ip Man 2 .
Donnie Yen ormai sembra avere stabilito un legame simbiotico con lo spirito che incarna il grande maestro di Wing Chun: il suo volto scolpito, spesso incredibilmente privo di qualsiasi segno di emozione,trasuda una spiritualità e un carisma che solo un grande artista marziale come lui poteva così efficacemente incarnare.
Tra i personaggi di contorno certamente spicca Wu Yue nel ruolo del maestro Wan in una interpretazione carica di carisma e di impeto e naturalmente non si può non fare cenno a Danny Chan nel difficile compito di ridare vita , almeno per qualche sprazzo all'interno dei 107 minuti del film, a Bruce Lee, uno dei più grandi miti immortali di intere generazioni.
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