Giudizio: 6/10
Con alle spalle già un paio di lavori apprezzabili, il regista giapponese quarantatreenne Nakano Ryota, per il suo terzo film decide di affrontare una tematica che in Giappone, come in tutti i paesi in cui la contrazione della crescita demografica ha causato un costante ed inarrestabile aumento percentuale della popolazione anziana, sta diventando sempre più attuale : A Long Goodbye, lungi dal richiamare atmosfere altmaniane di ormai quasi 50 anni orsono, è infatti il racconto dello sviluppo della demenza in un uomo di settanta anni e delle conseguenze sugli equilibri famigliari.
La storia prende piede sette anni prima quando Shoehi , il patriarca di una famiglia per il resto tutta al femminile, in pensione dopo avere svolto la sua onesta e apprezzata professione di insegnante, inizia a dare i primi segni della malattia ( chiamata talvolta anche " il lungo addio", da qui il titolo).
L'amorevole moglie Yoko convoca per l'occasione del compleanno dell'uomo le sue due figlie; Fumi, una donna alla ricerca della sua realizzazione come appassionata di cucina, e Mari che vive ormai da anni in Giappone col marito ed un figlio adolescente, le quali non immaginano che l'invito è per metterle al corrente della situazione del padre che inesorabilmente seppur lentamente si sta deteriorando; preso atto della situazione le tre donne cercano di affrontare il problema con gli inevitabili futuri sviluppi nella migliore maniera possibile; a questo punto però vengono fuori le difficoltà e le profonde insoddisfazioni delle due figlie , entrambe pesantemente frustrate: Fumi dal punto di vista della realizzazione lavorativa e di quella sentimentale, mentre Mari vive in America come una straniera , incapace di imparare l'inglese, con un marito che in perfetto stile giapponese pensa alla sua realizzazione lavorativa e un figlio che , come tutti gli adolescenti, comincia a creare problemi.
Scandito da salti temporali di due anni seguiamo quindi il percorso di Shoehi che si inoltra sempre più profondamente nella demenza e le scelte che la famiglia compie per tentare dapprima di tenere viva nell'uomo un minimo di capacità cognitiva e quindi di accudirlo come inevitabilmente accade con i soggetti affetti da questa malattia.
L'inevitabile finale, si colora di toni persino troppo leggeri per un film a tematica simile, ma questo, come vedremo, è un po' l'equivoco di fondo di A Long Goodbye che potremmo definire un racconto a tinte agrodolci e molto eteree di una malattia che annienta e cancella le persone.
Molto del film è basato sull'impatto che la malattia di Shiehi ha sul nucleo famigliare, attraverso il racconto di come ognuno dei componenti reagisce e affronta il problema lungo i sette anni che compongono il lasso temporale della pellicola, ma è anche la descrizione di come l'evento influisca sulle loro vite personali e sui loro rapporti famigliari, ribadendo con forza uno dei concetti più cari a certa parte dei registi giapponesi e cioè la centralità del nucleo famigliare e le dinamiche dei suoi legami interpersonali.
Il ruolo patriarcale di Shoehei, anche grazie al tono e alle atmosfere scelte che prediligono gli aspetti più "divertenti" della situazione complessiva, è ben saldo e fino alla fine, da autentico catalizzatore delle dinamiche famigliari, un deus ex-machina carismatico che sistema tutto anche con un solo gesto di cui magari non comprende neppure il significato.
Come detto c'è però un equivoco di fondo nel film sul quale il regista Nakano Ryota si adagia e anzi tende ad alimentare e cioè la scelta di raccontare quasi esclusivamente il dramma famigliare, perchè di questo si tratta avere un congiunto con la demenza, con toni leggeri, quasi brillanti e soprattutto apparentemente insistiti, creando un atmosfera generale che, ahimè , non solo appare forzata ma è drammaticamente inverosimile e falsa.
Vero che una situazione simile va vissuta con quanta più pacatezza possibile, però trasformare il tutto in una serie di macchiette che vorrebbero essere divertenti per non appesantire la tematica generale è esercizio poco producente perchè il racconto si tinge di colori ben poco credibili.
Se poi vogliamo vedere A Long Goodbye come il racconto di un evento che in qualche modo cambia le esistenze dei membri di una famiglia per i cambiamenti che apporta nelle loro vite, il film di Nakano ha di certo i suoi lati positivi nell'ottica del dramma famigliare.
Il cast è di tutto rispetto a cominciare dal vecchio Yamazaki Tsutomo, attore dall'esperienza infinita che dà l'appropriato stile al personaggio di Shoehi per finire alla bravissima Aoi Yu e a Takeuchi Yuko, nei ruoli rispettivamente delle figlie Fumi e Mari
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