Giudizio: 8/10
Ancora vendetta
Nel 2005 anche in Italia giunge il meraviglioso "Old Boy" di Park Chan-wook, contemporaneamente a Cannes viene presentato questo Bittersweet life dell'altro coreano Kim Jee-woon, lavoro che per taluni versi si inserisce nella sua scia, dimostrando ancora una volta, ammesso ce ne fosse bisogno, come oltre il nostro cortile occidentale esistano ampi spazi di cinematografia da apprezzare.
Sunwoo ( un algido e credibilissimo Lee Byeong-Heon) è un efficiente quanto professionale direttore di un albergo di lusso di Seoul, nonchè scagnozzo del potente boss Kang; vive la sua vita in assoluta solitudine e dedizione per il datore di lavoro , il quale pensa bene di affidargli, in sua assenza, il compito di spiare la sua giovane amichetta che sospetta di infedeltà.
Ovviamente Sunwoo svolgerà il suo lavoro egregiamente, fino a quando una scintilla di tenerezza scatterà in lui e gli impedirà di portare a termine il compito che doveva concludersi con l'eliminazione della ragazza e del suo amante.
Il boss non gradirà e sarà un attimo passare dagli altari ad una polvere fatta di cieca violenza , botte, sangue fin ad un passo dalla morte che solo la forza della disperazione riuscirà ad evitare.
Quale migliore catarsi in questi casi che una sanguinosa vendetta?
Il tema della vendetta torna ancora prepotentemente alla ribalta in un film orientale, ma , vale la pena dirlo subito, "Old Boy" rimane diverse spanne al di sopra di questo seppur bel film.
La storia evita colpevolmente lo sviluppo di quella scintilla di tenerezza (o di amore) che scocca nel glaciale protagonista; possiamo solo immaginare che Sunwoo sentendo la ragazza suonare con arte il violoncello, capisca in modo drammatico la sua squallida e violenta solitudine contrapposta alla limpida vitalità della giovane: è sicuramente uno dei momenti più belli del film.
Il regista inoltre mostra una fenomologia della vendetta, ben lungi dallo scavare e penetrare nelle storie umane, il che di per sè può anche essere una scelta non discutibile, soprattutto quando il contorno è magnificamente costruito avvalendosi di una scenografia potente ed efficace , ricca di colori cupi e di ambientazioni ben realizzate che sono senz'altro il piatto forte del film, che comunque trasuda violenza e sangue a tratti in maniera quasi tarantiniana.
Il finale è di quelli cui il cinema orientale ci ha abituato, un po' western con duello finale e un po' Johnnie To (con meno grazia) , tra specchi in frantumi e lampadari in mille pezzi a suggellare una storia fatta di vendetta e di solitudine, di incapacità di redimersi e di violenza.
Sunwoo ( un algido e credibilissimo Lee Byeong-Heon) è un efficiente quanto professionale direttore di un albergo di lusso di Seoul, nonchè scagnozzo del potente boss Kang; vive la sua vita in assoluta solitudine e dedizione per il datore di lavoro , il quale pensa bene di affidargli, in sua assenza, il compito di spiare la sua giovane amichetta che sospetta di infedeltà.
Ovviamente Sunwoo svolgerà il suo lavoro egregiamente, fino a quando una scintilla di tenerezza scatterà in lui e gli impedirà di portare a termine il compito che doveva concludersi con l'eliminazione della ragazza e del suo amante.
Il boss non gradirà e sarà un attimo passare dagli altari ad una polvere fatta di cieca violenza , botte, sangue fin ad un passo dalla morte che solo la forza della disperazione riuscirà ad evitare.
Quale migliore catarsi in questi casi che una sanguinosa vendetta?
Il tema della vendetta torna ancora prepotentemente alla ribalta in un film orientale, ma , vale la pena dirlo subito, "Old Boy" rimane diverse spanne al di sopra di questo seppur bel film.
La storia evita colpevolmente lo sviluppo di quella scintilla di tenerezza (o di amore) che scocca nel glaciale protagonista; possiamo solo immaginare che Sunwoo sentendo la ragazza suonare con arte il violoncello, capisca in modo drammatico la sua squallida e violenta solitudine contrapposta alla limpida vitalità della giovane: è sicuramente uno dei momenti più belli del film.
Il regista inoltre mostra una fenomologia della vendetta, ben lungi dallo scavare e penetrare nelle storie umane, il che di per sè può anche essere una scelta non discutibile, soprattutto quando il contorno è magnificamente costruito avvalendosi di una scenografia potente ed efficace , ricca di colori cupi e di ambientazioni ben realizzate che sono senz'altro il piatto forte del film, che comunque trasuda violenza e sangue a tratti in maniera quasi tarantiniana.
Il finale è di quelli cui il cinema orientale ci ha abituato, un po' western con duello finale e un po' Johnnie To (con meno grazia) , tra specchi in frantumi e lampadari in mille pezzi a suggellare una storia fatta di vendetta e di solitudine, di incapacità di redimersi e di violenza.
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