Giudizio: 7.5/10
Pena di morte e coscienza
Dopo la curiosa divagazione di "Mezzanotte nel giardino del bene e del male" , il vecchio Clint torna a trattare i temi a lui più congeniali con questo film che spazza via definitivamente le malelingue che non perdono mai occasione per accusarlo di reazionarietà.
L'eroe questa volta è un vecchio giornalista dell'Oakland Tribune, un tempo punta di diamante dell'editoria newyorkese, che si occupa di casi criminali tra bevute, donne (dei colleghi) e inevitabili problemi coniugali.
Quando il fato gli metterà di fronte il caso di un uomo di colore che sta per essere giustiziato per l'omicidio di una cassiera, il suo fiuto da cronista lo porterà ad eludere il compito assegnatogli di scrivere un pezzo "umano" sul morituro per cercare di riaprire il caso in una disperata corsa contro il tempo.
Il film è chiaramente una dichiarazione di contrarietà alla pena di morte , calata in un contesto di chiara critica alla giustizia e all'ambiente razzista, non quello ostentato e becero, ma quello strisciante dei benpensanti tipico di una certa America bianca e piccolo borghese. Il personaggio di Steve Everett monopolizza la storia creando un mix di coscienza civile e di problemi privati, di vizi e diossolutezze; il solito personaggio alla Clint insomma, di quelli segnati dalla vita ma che tirano fuori dall'angolo più lontano dell'anima una forza positiva e di riscatto.
Non possiamo definirlo un thriller e neppure un grande film , ma sicuramente ha il pregio di affrontare temi così difficili con la semplicità e la sincerità che sono proprie del regista il cui scopo è quello di inoculare almeno il dubbio nei fautori della pena capitale.
E ovviamente il film vive sulla performance di Clint Eastwood che sa trasmettere, anche da attore, la forza della ragione e della coscienza che scolpisce il suo volto da totem. Ottima spalla James Wood nel ruolo del direttore del giornale, autore insieme al protagonista di duetti dialetticamente efficacissimi e, perchè no, anche divertenti.
L'eroe questa volta è un vecchio giornalista dell'Oakland Tribune, un tempo punta di diamante dell'editoria newyorkese, che si occupa di casi criminali tra bevute, donne (dei colleghi) e inevitabili problemi coniugali.
Quando il fato gli metterà di fronte il caso di un uomo di colore che sta per essere giustiziato per l'omicidio di una cassiera, il suo fiuto da cronista lo porterà ad eludere il compito assegnatogli di scrivere un pezzo "umano" sul morituro per cercare di riaprire il caso in una disperata corsa contro il tempo.
Il film è chiaramente una dichiarazione di contrarietà alla pena di morte , calata in un contesto di chiara critica alla giustizia e all'ambiente razzista, non quello ostentato e becero, ma quello strisciante dei benpensanti tipico di una certa America bianca e piccolo borghese. Il personaggio di Steve Everett monopolizza la storia creando un mix di coscienza civile e di problemi privati, di vizi e diossolutezze; il solito personaggio alla Clint insomma, di quelli segnati dalla vita ma che tirano fuori dall'angolo più lontano dell'anima una forza positiva e di riscatto.
Non possiamo definirlo un thriller e neppure un grande film , ma sicuramente ha il pregio di affrontare temi così difficili con la semplicità e la sincerità che sono proprie del regista il cui scopo è quello di inoculare almeno il dubbio nei fautori della pena capitale.
E ovviamente il film vive sulla performance di Clint Eastwood che sa trasmettere, anche da attore, la forza della ragione e della coscienza che scolpisce il suo volto da totem. Ottima spalla James Wood nel ruolo del direttore del giornale, autore insieme al protagonista di duetti dialetticamente efficacissimi e, perchè no, anche divertenti.
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