lunedì 19 ottobre 2009

I'm a cyborg but that's ok ( Park Chan-wook , 2006 )


Giudizio: 7.5/10
Commedia poetica

Con uno strabiliante salto mortale carpiato ad altissima difficoltà, il grande Park abbandona la vendetta e il suo cinema duro per gettarsi anima e corpo in una commedia in cui si fondono surreale, poesia e profonda umanità; lo fa però a modo suo, con un lavoro quasi sperimentale, che a dire il vero in alcuni tratti rivela anche qualche pecca e una verbosità che non è propria del regista, e con una tecnica scintillante e policromaticamente abbagliante.
La storia narra di una adolescente rinchiusa in un manicomio (che nulla ha a che vedere con quello di "Qualcuno volò sul nido del cuculo") in quanto convinta di essere un cyborg con tanto di circuiti e fili: qui vedremo una pittoresca carrellata di personaggi che abitano l'istituto, tutti, ovviamente con comportamenti che denotano il loro disagio psichico. La nostra cyborg è convinta che non deve mangiare altrimenti si rovinano i ciruiti, parla solo con la macchinetta che distribuisce le bevande e con una radio costruita artigianalmente; unica persona che le starà vicino fino ad divenirne amica è un ladruncolo che asserisce di saper rubare qualcosa dall'animo delle persone , che si lava sempre i denti e che teme di scomparire dal mondo. Tra i due sboccerà, nonostante l'animo cyborg ed asettico della ragazza, anche un tenero affetto. Un finale un po' confuso forse e sicuramente ottimista metterà il punto ad una storia che Park è bravissimo a mantenere su binari di leggerezza con spunti poetici noetvoli, in cui descrive con la consueta grazia e sensibilità l'universo della diversità , della fantasia (forse) malata, la leggerezza dello spirito libero, la visione del mondo e dei sentimenti non unipolare. Si concede solo un paio di scene (immaginate tra l'altro) che hanno la sua impronta indelebile che sono lo sfogo fantastico della ragazza decisa ad uccidere tutti i medici e gli infermieri del manicomio usando armi micidiali che spuntano dai polpastrelli delle dita; è solo una licenza poetica in un contesto etereo, delicato che un Maestro come Park può tranquillamente concedersi.

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