Solitudine a Pechino
In occasione della scorsa edizione del FEFF il regista cinese Zhang Yuan propose una mostra fotografica e un libro che dovevano essere i primi due capitoli di un lavoro frutto di ricerche pazienti sul mondo giovanile di Pechino. Il terzo atto di questo progetto è il film Beijing Flickers che quest'anno abbiamo visto sempre al FEFF.
E' quasi un riflesso condizionato ripensare al Beijing Bastards che ormai 20 anni orsono lo stesso cineasta propose per raccontare la Pechino del fermento artistico, ed in effetti l'operazione trova la medesima aspirazione, quello che cambia è l'ambiente, la metropoli che ha mutato il volto e che è lo specchio di un Paese che rispetto a due decenni fa ha subito una delle metamorfosi più straordinarie dell'era moderna.
La particolare attenzione che ha sempre guidato la ricerca sociale del regista sulle tematiche giovanili, culminata in Diciassette Anni film del 1999 che ricevette un importante riconoscimento anche a Venezia, probabilmente il suo lavoro più noto, trova in Beijing Flickers ulteriore ispirazione.
La storia, trama esilissima e tutta incentrata su ambientazioni e situazioni abbastanza statiche, è quella di un gruppo di giovani pechinesi, tutti in qualche modo dispersi nel ventre di una città che fagocita e che non aspetta nessuno: c'è chi ha perso il lavoro e la fidanzata, oltre che il cane, chi insegue un sogno edonistico affidandosi alla chirurgia plastica, chi trova slancio , regolarmente frustrato nella musica, chi vivacchia col suo lavoro di autista; quattro protagonisti, più una serie di personaggi secondari anch'essi prototipi di esistenze travagliate, che uniscono la loro solitudine e che per non vagare come vascelli fantasmi si ritrovano a condividere le proprie frustrazioni e a immergersi nelle notti di Pechino senza meta e senza rifugio.
Lo sguardo di Zhang è come sempre lucido e privo di inclinazioni sentimentaliste, la sua Pechino è sempre quella delle macerie degli hutong che vengono smembrati per fare spazio al moderno, è la città che non abbraccia ma fagocita e restituisce frammenti di umanità prive di rotta , confuse e insatabili che forse hanno perso l'ultimo treno ,e non sempre per colpa loro.
L'approccio molto vero e ricco di umanità di Zhang fa di Beijing Flickers un film che raggruppa nel suo nocciolo interno una durezza degna delle migliori prove cinematografiche dei registi della Sesta Generazione, un involucro lapideo, che solo le poesie di uno dei personaggi , che non a caso ritiene che nessuno lo capisca, cercano di scalfire.
D'altronde Zhang Yuan si guarda bene dal trarre morali o dall' elevare le sue riflessioni ai massimi sistemi :Beijing Flickers è anzitutto un film sull'individualismo, inteso come entità esistenziale unica, in cui al centro della storia ci sono momenti di vita e di solitudine, dove alla fine basta ritrovare il proprio per poter ricevere un po' di calore.
Il cast è convincente, composto di giovani attori ( Duan Bowen, Sabrina Li Xinyun, Lu Yulai, Shi Shi) che abbiamo però già visto al lavoro con lo stesso Zhang o in altre pellicole di un certo rilievo.
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