Giudizio: 8/10
La potenza delle immagini
Quando nel febbraio di quest'anno il regista russo Aleksei Jurevic German venne a mancare all'età di 75 anni, da pochi giorni il Festival di Roma aveva deciso di assegnargli il Premio alla Carriera; a ritirarlo sono giunti moglie e figlio portando con sè l'ultimo lavoro del regista rimasto incompiuto e portato a termine da loro stessi.
Hard to be God è lavoro straordinario sotto molteplici punti di vista: anzitutto la genesi visto che nelle intenzioni di German questo doveva essere il suo film d'esordio nei lontani anni 60; poi le vicissitudini politiche dell'URSS e i problemi con la censura , oltre alle difficoltà economiche obbligarono German a mettere da parte il progetto fino al 2000, anno in cui iniziarono le riprese che terminarono 8 anni dopo; da allora il cineasta russo è stato impegnato in un titanico lavoro di montaggio fino alla sua morte.
Se Hard to be God che abbiamo visto a Roma sia il vero frutto finale del lavoro del regista, almeno nelle intenzioni, non lo sapremo mai, sappiamo però con assoluta certezza che l'opera è di quelle che rimangono nella mente impresse a fuoco: 180 minuti di cinema intriso di misticismo filosofico, di tematiche cosmiche, di riflessioni antropologiche ma soprattutto di immagini straordinarie, dall'impetto deflagrante. Girato in un bianco e nero sudicio, da archeologia dell'arte cinematografica, la storia è ambientata in un pianeta dove vengono inviati degli scienziati per studiarne la civiltà che è ferma ad un'epoca come il nostro medioevo dove però non esiste il Rinascimento, come ripete spesso il protagonista.
Uno degli inviati, contravvenendo alla regola di osservare e basta, celandosi dietro a misteriose e millantate divine discendenze, cerca invece di influire sul corso della Storia di quel pianeta, dove letterati e uomini di arte vengono imprigionati, torturati e massacrati.
Durante tutto il corso della Storia siamo immersi in un mondo che sa da un lato sembra quello del Signore degli Anelli stile trash , dall'altro emana un senso di angoscia buia e opprimente tra fango, pioggie, nebbie, sporco, melma che si mescola con escrementi, esseri antropomorfi che odorano tutto e che sputano in continuazione: una sorta di palude di Stige dove si vaga eternamente , scivolando davanti alla macchina da presa con lo sguardo beffardo, inciampando nelle teste mozzate e sbattendo la faccia sugli impiccati lasciati a marcire.
Sotto questo aspetto il film sa essere grandioso come pochi nella storia del Cinema, viceversa quando ci si addentra nelle disquisizioni che vorrebbero sviluppare le tematiche legate al racconto ( la malvagità umana, l'incapacità di governare il mondo, la tirannia che trova nutrimento nell'ignavia e nella indifferenza, l'impossibilità di potersi sentire un governatore delle sorti dell'uomo, solo per citarne alcune) il film mostra qualche segno di debolezza, proprio laddove dovrebbe mettere insieme la filosofia del racconto: ecco perchè Hard to be God è film che ha soprattutto nella sua potenza visiva evocatrice il punto più apprezzabile.
Rimane però l'impressione di assistere ad uno di quei film che ci porteremo comunque dentro per molto tempo, tanto colpiscono le immagini e le ambientazioni; per chi lo avesse perso il consiglio è di tenere d'occhio la programmazione ghezziana di Fuori Orario; Hard to be God è classico film da cinefilo insonne.
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