Giudizio : 7/10
Miserie sotto il sole cocente
Attivo sin dagli anni ottanta come documentarista prima e come regista televisivo poi, Ulrich Seidl confeziona la sua opera prima nel 2001 , ospitata a Venezia e risultata trionfante con il Premio della Giuria.
Come poi ha confermato il corso della carriera del regista il suo primo impatto fu di quelli deflagranti, provocatori oltre il limite che non lasciano spazio alle vie di mezzo: Canicola (Day Dogs) è infatti un lavoro dal quale il primo moto d'anima che sale è il disgusto e la pena,cagionate da un turbinio di storie parallele che hanno tutte come denominatore comune le miserie di una società industriale ed urbana ridotta a brandelli.
La canicola che colpisce i dintorni di Vienna genera sudore, evoca un senso di oppressione e di insalubrità: in questo spazio segnato dall'afa si muovo alcuni personaggi in cerca di una storia, rappresentanti di un ceto medio che vive di solitudine e di squallore: la coppia separata in casa , che non regge il dolore per la perdita del figlioletto, il venditore di sistemi di sicurezza domestici costretto fare il guardiano del parcheggio, una coppia di giovanotti, remissiva lei, trucido buzzurro lui, una donna matura invischiata in un rapporto esplosivo con un maniaco violento, il vecchio ingegnere rompiscatole e fiscalissimo che vuole festeggiare le nozze d'oro con la domestica che fa da surrogato della moglie morta , una logorroica resa cerebrolesa dalla pubblicità in perenne ricerca di un passaggio in macchina. L'ambiente è quello falsamente ordinato e pulito di tante periferie con casette a schiera in riva al fiume, parcheggi sterminati e centri commerciali a perdita d'occhio, quasi un fotografia di un epoca e di un ambiente che cerca la depersonalizzazione selvaggia.
Il film di Seidl non risparmia nulla: cattiveria , violenza ,alienazione, scene di sesso esplicito, lunghi primi piani di assoluta immobilità con distese di pance in cottura sotto il sole austriaco; manca ogni segno di contestualizzazione che possa regalare drammaticità, semmai è il degrado fisico e morale dei personaggi che regge la baracca; nel suo algore emozionale che disturba sembra più affine a Lanthimos che al grande connazionale Haneke, dove la liturgia del dramma raggiunge livelli sublimi; Seidl caso mai cerca quasi la berlina e lo sberleffo dei protagonisti, imperituri zimbelli di una epoca che ha perso ogni riferimento sociale e culturale.
Anche quelle che sembrano al primo impatto scene forti, sono di fatti dei tratteggi istantanei nei quali tutto sembra quasi naturale ( l'orgia scambista fugace che si vede all'inizio, la scena di estrema violenza che culmina con la candela infilata nell'ano), assolutamente coerente con una cattiveria e una mancanza di etica che serpeggiano in tutto il racconto.
La mano da documentarista di Seidl si vede, così intento come è a non frapporre nulla tra l'immagine, spesso statica e lo spettatore, quasi in una esasperata ricerca stilistica che probabilmente toglie qualcosa al film, nonostante la folta schiera di attori amatoriali che da parte loro donano spontaneità al lavoro.
Di Seidl ho visto l'anno scorso "Paradise: Love" e "Paradise: Faith", primi due episodi di una trilogia sui generis, che mi sono piaciuti parecchio. Cercherò di recuperare anche questo, che forse è il suo lavoro più famoso (e famigerato), visto che mi pare un regista assolutamente non banale...
RispondiEliminaDebbo ammettere che non avevo visto nulla di Seidl e quindi ho iniziato proprio dal primo film per poi passare ad Import/Export e alla trilogia. Sicuramente non è regista banale, almeno a giudicare da questo primo lavoro, che però, debbo confessare, mi risulta almeno in parte sfuggente
RispondiElimina