Sprazzi di luce
Come una implacabile tassa, anche questo ultimo lavoro dei fratelli Dardenne passa alla cassa a ritirare il premio, come hanno fatto quasi tutti i precedenti: stavolta è Cannes a regalare ai due cineasti il Gran Premio Speciale della Giuria per un'opera , Il ragazzo con la bicicletta, che per la prima dopo diversi anni introduce un modo nuovo di osservare il mondo da parte dei due fratelli registi.
Probabilmente stavolta la stucchevole diatriba sul cinema sempre uguale a se stesso dei Dardenne non ha motivo di esistere, dovendoci focalizzare maggiormente su alcune scelte narrative e anche tecniche che indubbiamente si distanziano dal loro abituale modo di fare cinema.
La storia, racconto di formazione di un ragazzetto problematico, abbandonato dal padre, orfano di mamma, relegato in un istituto e affidato temporaneamente ad una giovane parrucchiera, posa il suo occhio sulla figura adolescenziale, descrivendo un personaggio che congloba tutti i peggiori lati caratteriali, stimolato solo dall'opportunismo e dalla menzogna utilitaristica.
Le avventure di Cyril, perennemente in sella alla sua bici, si snodano attraverso la ricerca del padre con cui poter ricostruire un rapporto, spinto più dal legame ancestrale che da un vero amore, la costruzione di una nuova figura di riferimento nella persona della parrucchiera che se ne prende cura, la ribellione che lo porta sulla cattiva strada con pessime conoscenze ed il finale tanto ovvio quanto secco, nel quale, lo spiraglio di luce che splende sempre in fondo al tunnel dardennesco, si trasforma qui in uno squarcio imponente e abbagliante.
La luce è in effetti la prima variazione che risalta di più in questo lavoro: non più bui agglomerati suburbani piovosi e tetri , bensì giornate assolate, buone per farsi una pedalata in un contesto urbano piccolo borghese, libero da lordure e da violenze; non più personaggi reietti abbandonati alla loro disperazione sociale, semmai un teppistello spacciatore che svolge la sua funzione da cattivo maestro, prima di scomparire del tutto.
Anche quel rincorrere i personaggi con la macchina da presa a mano è meno ossessivo, seppur presente, e il fiatone del personaggio ha qualcosa di diverso dalla consueta angoscia, ma soprattutto quell'osservare passivamente, come un cronista asettico , lo sviluppo della disperazione e dell'emarginazione, lascia posto ad un racconto strutturato, con tanto di trama funzionale che si dipana con coerenza; c'è persino spazio per fugaci accenni musicali del Concerto per pianoforte di Beethoven, contrapposti alla totale assenza di colonna sonora che non sia il rombare delle auto o la pioggia che cade.
Un film diverso quindi, che prende distanza dai canoni ormai ben consolidati dei due cineasti, pur rimanendo però nella sostanza abbastanza vicino alle tematiche trattate: da qui a parlare di clima fiabesco solo per una lontana eco collodiana che si respira sembra però azzardato, anche perchè in più punti il film presenta momenti di vero dramma penetrante.
Che poi Il Ragazzo con la bicicletta non sia il film più riuscito della coppia, questo è altro discorso, condivisibile in larghissima parte, proprio perchè appare un allontanamento neppure troppo convinto da uno stile e da tematiche che hanno regalato opere notevoli.
Persino nella scelta degli attori, solitamente poco conosciuto a livello internazionale, i fratelli Dardenne vanno oltre , affidando il ruolo della redentrice di Cyril a Cecile de France, attrice ben conosciuta al grande pubblico, relegando il fido Jeremie Renier in un ruolo tutto sommato secondario.
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