Realismo malesiano
Il lavoro malesiano dell'accoppiata Effenden Mazlam-Fariza Azlina Isahak, alla loro opera seconda, risulta uno dei film più belli ed interessanti della rassegna udinese.
Utilizzando una struttura narrativa che cerca di miscelare azione e aspetti sociali, presentati col giusto realismo intriso di durezza e cattiveria, il racconto è ambientato negli strati sociali più disagiati di Kuala Lampur, molto efficacemente proiettati con lo sfondo delle Torri Petronas, quasi a voler amplificare a dismisura le contraddizioni insite in una delle tigri dell'Est.
I protagonisti sono due fratelli che prestano la loro opera come manovalanza nel traffico dei neonati , cui è strettamente legato quello della prostituzione.
Il minore dei due vive ancora di sogni (la danza) con i quali vorrebbe affrancarsi dall'ambiente degradato, visita spesso, confidandosi con lei dietro pagamento, una prostituta che ha scoperto essere la madre che li abbandonati da piccoli e che ignora la loro esistenza ed è spesso in contrasto col fratello più grande che invece, con più cinismo e realismo, considera il loro un lavoro del quale non possono fare a meno per sopravvivere e che non vuole saperne delle implicazioni sentimentali , rifiutandosi di voler incontrare la madre.
In un ambiente dominato dalla violenza, dalla sopraffazione e dal degrado morale, sospinto dal giovane fratello, anche il maggior si vedrà costretto a ribellarsi al sistema aberrante: sarà la giovane sorella di un amico del fratello piccolo, morto sotto i suoi occhi, a far scatenare la ribellione dei due; attraverso la salvezza della ragazza, in fuga anche da una violenza incestuosa, i due giovani, in un finale convulso e drammatico, cercheranno di tenere accesa la speranza.
La descrizione dell'ambiente della malavita e dei luoghi dove il degrado è maggiore, sono senz'altro i momenti più belli del film, che usa la giusta durezza per raccontare le esistenze emarginate, non concedendo nulla al facile pietismo nè alle interpretazioni socio-politiche; per tale motivo ne vien fuori una bella carrellata di personaggi, veri ed autentici, che fungono da perno per la narrazione.
E' insomma una bella storia, raccontata con la giuste dose di realismo, che non si fa problema a rimanere nello sporco e a raccontarlo e che lascia una sottile ma ben apprezzabile scia di inquietudine; se un difetto questo lavoro possiede è forse quello di essere ancora piuttosto grezzo nella sceneggiatura, poco strutturato e molto "umorale", ma nell'insieme tutto ciò, in un contesto narrativo come quello scelto dai due registi, non si presenta come un grosso problema.
Il Festival ha gradito il lavoro della coppia di registi, forse perchè è stato uno dei pochissimi a gettare un po' di lerciume in una rassegna orientata molto sulla commedia brillante: si sa , va bene ridere e divertirsi, ma ogni tanto qualcosa che faccia pensare un po' ci vuole.
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