domenica 13 maggio 2012

River ( Ryuichi Hiroki , 2011 )

Giudizio: 5.5/10
Le rovine del presente e lo tsunami

Dopo la grossa delusione di The egoists, l'altro lavoro di Ryuichi Hiroki presente al FEFF ci riporta se non altro su una scia narrativa ben più riconducibile al regista.
Non che River sia un film indimenticabile, però almeno vi si ritrovano qui canoni che il regista nipponico usa frequentemente , soprattutto nei suoi lavori più validi.
Scelta ardita quella di Hirochi di girare quasi tutto il film con una telecamera a mano, in cui, a parte l'attrice e i pochi personaggi, tutto il resto intorno scorre come se non esistesse set cinematografico (e molto probabilmente non esiste veramente).
La protagonista è una ragazza che ha perso il fidanzato in una strage avvenuta per le strade di Akihabara (episodio realmente accaduto quattro anni orsono) da parte di uno squilibrato alienato.

A distanza di tre anni la ragazza ancora si porta addosso le cicatrici della perdita e la vediamo vagare per il quartiere dove avvenne il massacro in un interminabile piano-sequenza, alla ricerca di qualche tracce del passato lungo il fiume che percorre il quartiere stesso: incontri con persone che forse hanno conosciuto il ragazzo, strani personaggi che la assoldano come attrice di una messinscena commericale, musicisti e fotografi e per finire un giovane che conosceva il suo fidanzato che sprona la ragazza a superare il suo stato di abbandono pensando al presente che però è quello dello tsunami e di Fukushima, forzosamente e frettolosamente tirati dentro quasi a voler esorcizzare un evento che ha lasciato segni profondissimi sulla coscienza del paese.
Ed il finale è un altro interminabile, nonchè abbastanza fastidioso piano- sequenza, girato con una traballante telecamera a mano, in cui il giovane amico vaga tra le rovine dello tsunami, là dove viveva la sua famiglia.
Se il fulcro del racconto deve essere il ricordo che lascia cicatrici e dal quale non si fugge, la scelta di Hiroki, francamente forzata al punto da sembrare pretestuosa, di linkare il dolore della ragazza con quello di un paese intero dopo il terremoto, appare ardita ed abbastanza incomprensibile, non a caso il regista riscrisse la sceneggiatura del film dopo lo tsunami inserendovi questa tematica.
A parte questo aspetto non secondario che lascia un'ombra grossa, al contrario dell'altro lavoro di Hiroki presentato nella rassegna udinese,qui la mano del regista si sente: la scelta di girare quasi amatorialmente parte delle scene accentua la concezione  di astrarsi dal racconto per osservare e far parlare le immagini, così come la perdita e l'abbandono, mirabilmente trattati in It's only talk, tornano a  fare sentire il loro peso sull'esistenza.
Il vagare della protagonista (una bella, eterea e brava Rambutsu Michiko) tra le rovine del presente incapace di abbandonare il passato meritava forse una diversa trattazione e non l'incomprensibile sfociare nella tragedia nazionale.
Il film comunque , seppur lontano dall'essere lavoro indimenticabile, ha il pregio di crescere dentro dopo la visione, pregio non comune e tutto sommato merita la visione.

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